Spesso nel linguaggio comune si confondono due sentimenti diversi: gelosia e invidia. Invece, esistono differenze nella sostanza e dunque nell’uso delle due parole bisogna avere la giusta attenzione. Spiega chi studia il fenomeno che permea i rapporti umani: la gelosia nasce nei rapporti affettivi quando si ha il timore di perdere l’esclusività o la totalità di un rapporto personale; l’invidia nasce da una percezione di inferiorità e mancanza nei confronti di qualcuno, ed è spesso accompagnata da desiderio di danneggiarlo. L’etimologia ci racconta sempre molto e traggo da Etimologico. L’aggettivo zelōsus ‘geloso’ ha preso il sign. proprio del latino ecclesiastico zelōtēs -ae come attributo di Dio (greco zēlōtḗs), in quanto egli non può ammettere che si ami qualcun altro più di lui. Il derivato gelosia è stato usato in senso traslato per indicare un graticcio alla finestra o uno sportello alla persiana, che permetta a chi si trova all’interno di vedere al di fuori senza essere riconosciuto, in quanto schermo posto da un marito o un padre geloso alle donne della propria casa. Chi ha visitato un harem sa che cosa significa… Eccoci a invidia, che viene dal latino invĭdĭa, der. di invĭdēre ‘invidiare’, che si lega al gettare il malocchio; guardare con occhio malevolo’, da vĭdēre ‘vedere’ con il prefisso in. Vien da ridere a pensare a chi, anche nella politica valdostana, ha giocato con la magia nera, purtroppo credendoci. Mi chiedevo - e per questo ne scrivo - se è in che modo mi rapporto a questi meccanismi così umani, che ci turbano creando emozioni forti e muovono i nostri comportamenti. Premetto due pensieri più elevati delle mie riflessioni. Sulla gelosia ha scritto Miguel de Cervantes: “Se la gelosia è un segnale d’amore, è come la febbre dell’ammalato, per il quale averla è un segnale di vita, ma di una vita malata e mal disposta”. Sull’invidia ha detto Francesco Alberoni: “L’invidia è il sentimento che noi proviamo quando qualcuno, che noi consideriamo del nostro stesso valore ci sorpassa, ottiene l’ammirazione altrui. Allora abbiamo l’impressione di una profonda ingiustizia nel mondo. Cerchiamo di convincerci che non lo merita, facciamo di tutto per trascinarlo al nostro stesso livello, di svalutarlo; ne parliamo male, lo critichiamo. Ma se la società continua ad innalzarlo, ci rodiamo di collera e, nello stesso tempo, siamo presi dal dubbio. Perché non siamo sicuri di essere nel giusto. Per questo ci vergogniamo di essere invidiosi. E, soprattutto, di essere additati come persone invidiose. In termini psicologici potremmo dire che l’invidia è un tentativo un po’ maldestro di recuperare la fiducia e la stima in sé stessi, impedendo la caduta del proprio valore attraverso la svalutazione dell’altro”. Sulla gelosia devo ammetterlo di averla avuto ed è in fondo un abisso nel quale bisogna evitare di caderci, perché il rischio è che finisca per autoalimentarsi. L’unico vero appiglio, come un chiodo forte cui mettere il nostro moschettone, è la fiducia, che è sempre un fragile azzardo, ma è segno di maturità per evitare di rodersi. Sull’invidia devo dire con grande franchezza che non mi appartiene. Anzi, nel giornalismo e nella politica, ho sempre guardato a chi consideravo più capace di me come modello cui rubare quel che potevo delle sue capacità. Mi è servito molto questo esercizio salutare, che non finisce mai. Meglio l’ammirazione che l’invidia.