Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
24 ott 2023

Le convinzioni come catene

di Luciano Caveri

Cattivo maestro è, secondo la Treccani, un’espressione usata per indicare polemicamente chi ha esercitato un’influenza negativa sui giovani, grazie al proprio prestigio intellettuale, con particolare riferimento ai capi spirituali del terrorismo. Brutta storia quella di quegli anni, in cui c’erano quelli che nella Sinistra estrema agognavano a una sorta di rivoluzione a colpi di omicidi e una Destra estrema che usava la strategia della tensione con clamorosi e dolorosi attentati per una svolta autoritaria. C’erano maîtres à penser che predicavano da una parte e gerarchetti neofascisti che lo facevano dall’altra. Questa presenza dei cattivi maestri ha logiche politiche inquietanti, specie quando agiscono sulle menti duttili e influenzabili dei giovanissimi, come si vede - sempre alle ali estreme - dai cretini che in certi Licei blasé inneggiano in queste ore ad Hamas contro Israele o i giovani che, dall’altra, giochicchiano con l’estremismo nero, immaginandosi un fascismo da riabilitare, spingendosi persino alcuni ad una riabilitazione del nazismo. Questo avviene non solo in gruppuscoli o in sette, ma anche nelle scuole, dove agiscono professori propagandisti politici e lo abbiamo vissuto tutti da ragazzi. E quando questo capita vuol dire che chi ha compiti educativi viene meno ai suoi doveri e questo è intollerabile. Ho avuto insegnanti assai marcati politicamente, che facevano lezioni senza voler assolutamente fare proselitismo e ponevano le questioni in termini problematici e mai con l’intenzione di indottrinarci. Chi ci ha provato, quando facevo il Liceo, trovò nelle classi dove ho studiato pane per i suoi denti. Questo per dire quanto mi abbiano stufato gli estremismi e i suoi fratelli, che siano il massimalismo, il radicalismo, l’oltranzismo, il fanatismo, il giacobinismo, il fondamentalismo, l’integralismo, il manicheismo, l’eversione e forse la lista potrebbero essere completata da altri vicoli ciechi della razionalità. Ha scritto Edgard Morin: ”Che cos’è la razionalità? È il modo in cui lo spirito umano si sforza di associare i sistemi di idee logiche, coerenti, che edifica con i fenomeni della realtà sui quali li appoggia”. Questo logicamente non vuol dire affatto costruzione del pensiero - nel mio caso le molte varianti del federalismo - ma senza farne un fideismo cieco e senza accompagnare ogni pensiero con sentimenti e passioni. Non siamo robottini o meglio Intelligenza Artificiale che tratta dati senza quel contesto di cultura e di esperienze, speranze e propositi che fa parte del bagaglio che ci portiamo sulla schiena. Ha scritto Alessandro D’Avenia: ”La parola “intelligente” deriva dal latino, viene da “intus” più “legere”: “leggere dentro”. La persona intelligente è quella che sa guardare dentro le cose, dentro le persone, dentro i fatti”. Questo vuol dire evitare, come avviene con certi algoritmi dei Social, non chiudersi nel recinto di chi la pensa solo come noi - e questo crea il rischio della conventicola chiusa - mentre bisogna conoscere gli altri, quelli che sanno confrontarsi e discutere a mente aperta. E chi è prigioniero dell’ideologia non ti ascolta, perché convinto di essere depositario delle sue intoccabili verità. Capita spesso di incontrarne in politica: neanche loro ti ascoltano mentre spieghi le tue ragioni, loro sono fermi nel ”sanno” e non hanno bisogno di altro. Chiusi, sono chiusi, prigionieri delle convinzioni che diventano come catene.