Penso ai miei figli, ognuno dei tre con il proprio carattere frutto del DNA e della loro formazione culturale, e fa impressione - come genitore - pensare in quale mondo vivranno. Sarò al loro fianco, con i miei pregi e miei difetti, sin che la durata della mia vita lo permetterà. Questo tempo - lo dico con un sorriso - prescinde dalla mia volontà. Le radici ci parlano dal passato: tempo fa avevo scritto a mia figlia Eugénie, personalità acuta e a tratti caustica, una specie di prospetto di una parte dell’albero genealogico, quello che si muoveva fra Moneglia e Genova sino alla scelta di avere un ramo valdostano, di cui sono i miei ragazzi sono il frutto, con l’apporto essenziale dei rami femminili. Così rappresentavo rozzamente: “Dunque io sono Eugénie (1997), mio padre Luciano (1958), mio nonno Alessandro (1923), mio bisnonno René (1867), mio trisnonno Paul (penso 1815), mio arcibisnonno Cesare (1771), mio quintavolo Antonio Maria (stesso secolo, probabilmente)”. Lo scorrere delle vite si affianca al flusso della grande Storia e questo mi ha sempre fatto molta impressione. Per questo mi ha sempre incuriosito un avo precedente, Nicolò Caveri, cartografo, che all'inizio del 1500 disegnò quanto così descritto dalla "Treccani": ”Si tratta di un planisfero a colori su pergamena di ampie dimensioni (cm 115×225), del tipo nord-sud, disegnato secondo il metodo delle "rose dei venti", caratteristico delle carte tardomedievali e rinascimentali, con l'indicazione dei gradi di latitudine (da 71° lat. Nord a 57° lat. Sud). A sinistra in basso si legge la dicitura "opus Nicolay de Caverio ianuensis" ”. In un suo intervento del 1947 all'"Accademia dei Lincei", il professor Paolo Revelli racconta della probabile amicizia tra il cartografo ed il suo concittadino Cristoforo Colombo (le famiglie possedevano dei terreni confinanti in una zona di campagna), visto che la carta tiene conto proprio delle scoperte colombiane Quanto mi piacerebbe poterli incontrare questi Caveri del passato. Soprattutto per sapere di loro, del contesto in cui vivevano, del rapporto fra loro e la Grande Storia, fatta da mille cose che mischiano gli eventi di un’epoca con le storie personali. Così come mi piacerebbe un futuro rose e fiori. Ricordo quel Capodanno che apri il nuovo Millennio: una frontiera temporale e un passaggio psicologico, che ci riempiva di speranze. Scherzavamo fra noi sulla favola del “Mille non più Mille”, che avrebbe angosciato la popolazione nel Medioevo allo scoccare della Mezzanotte del 999. Per poi scoprire grazie all’ottimo Alessandro Barbero con il suo rigoroso metodo storiografico quanto fosse infondata questa paura della fine del mondo: “Andiamo a vedere i cronisti dell'epoca e vediamo se ci raccontano che all'arrivo dell'anno Mille la gente era terrorizzata. Neanche un cronista ne parla”. Purtroppo quel che ci viene confermato dal secondo millennio - e crea inquietudine più di date millenaristiche per chi vivrà i decenni a venire - è la stupidità umana. Diceva Albert Einstein con il suo umorismo: ”Due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, ma riguardo l’universo ho ancora dei dubbi”. Pessimista? Mai! Mi riconosco, malgrado tutto, in una frase di Victor Hugo: ”L'avenir a plusieurs noms: pour les faibles, il se nomme l'inaccessible. Pour les peureux, il se nomme l'inconnu. Pour les courageux, il se nomme opportunité”.