”La francophonie, c'est un vaste pays, sans frontières. C'est celui de la langue française. C'est le pays de l'intérieur. C'est le pays invisible, spirituel, mental, moral qui est en chacun de vous”. Gilles Vigneault
Sarò pure considerata da qualcuno affermazione retorica, ma sono realmente convinto della forza ben presente della francofonia per la Valle d’Aosta. Premetto che conosco la solita solfa: a che cosa serve ai valdostani coltivare questa lingua, visto che l’inglese ormai è diventata nel mondo la lingua franca, che prima era stata proprio il francese? Il plurilinguismo è un bene e con questo credo di aver sgombrato il campo. Il francese è per i valdostani una lingua storica, ben prima che arrivasse l’italiano. Questo significa non uno stucchevole richiamo al passato del tempo che fu, ma sono le radici culturali profonde che sostanziano la comunità odierna. Altro pregiudizio, ormai per fortuna sepolto, essendo la tesi degli arpitani: la vera lingua dei valdostani è il patois francoprovenzale ed il francese è stata una lingua imposta dall’alto. Oggi è ben chiaro, con la progressiva italianizzazione del patois, come il bilinguismo francese-francoprovenzale (lingue originali neolatine, con parole pur d’altra provenienza) consenta di sostenersi reciprocamente in un reciproco arricchimento. Non è che il francese in Valle d’Aosta casa dal cielo: lo si deve a millenarie ragioni geopolitiche, dovute al posizionamento della Valle, che resta ancora oggi valido, anche nella logica di abbattimento delle frontiere in chiave europea, con larga parte dei suoi confini con Paesi francofoni come la Francia e la Svizzera Romanda. Per il resto qualche citazione da una recente pubblicazione che spiega in questo modo la situazione nel mondo: ”L’Observatoire de la langue française a publié ses nouveaux chiffres qui soulignent une progression continue de la langue française dans le monde depuis 2018. Avec 321 millions de locuteurs, le français est toujours la 5e langue la plus parlée après l’anglais, le chinois, l’hindi et l’espagnol”. Lo stesso rapporto osserva:”"On naît de moins en moins francophone, mais on le devient de plus en plus !". Si la majorité des francophones dans le monde ont un usage quotidien de la langue et si la progression du nombre de francophones en Afrique est une constante, la pratique de la langue française n’est pas pour autant "naturelle" : les nouveaux locuteurs pour lesquels le français n’était pas, le plus souvent, la langue première, "se l’approprient sur la base d’autres compétences linguistiques"”. Quindi per chi non ha il francese come “langue maternelle”, il francese lo si apprende per ragioni di lavoro e per il fascino della cultura che sottende. Piccoli come siamo dobbiamo, come valdostani, farci forti di una ragionevole politica estera consentitaci dal francese sia nella prossimità già citata, ma anche - e questa è mia esperienza passata e attuale - in quella rete assai varia di Regioni francofone è una ricchezza di rapporti politici, economici e culturali da considerare preziosa per noi e ci rende più grandi. Perché dovremmo rinunciare a questa opportunità in una logica che non potrebbe far altro che impoverirci, oltre a rinnegare uno dei fondamenti del nostro regime di Autonomia speciale? Certo che lo sforzo per far capire questa ricchezza deve riguardare soprattutto i giovani per dar loro la consapevolezza che il francese non è uno sforzo in più come vuoto a perdere, ma un elemento identitario che apre a diverse opportunità.