Scriveva Albert Camus: “Senza cultura e la relativa libertà che ne deriva, la società, anche se fosse perfetta, sarebbe una giungla. Ecco perché ogni autentica creazione è in realtà un regalo per il futuro”. Capita di pensarci ogni volta che si acquisisce un nuovo pezzettino di cultura e lo inserisci nel puzzle delle conoscenze. Il cinema oggi aiuta a farlo, certo non tutto, ma almeno lo è quella parte che ti arricchisce e ti spinge a saperne di più. Mi aveva incuriosito il recente film di Marco Bellocchio, regista che ho sempre seguito con curiosità, intitolato “Rapito”. Narra la storia tragica di Edgardo Mortara, il bambino ebreo di soli 6 anni che nel 1858 venne sottratto alla famiglia per ordine dell’inquisitore di Bologna secondo le leggi dell’allora Stato pontificio di cui la città faceva parte, dopo la scoperta che il piccolo era stato nascostamente battezzato da una domestica e dunque da sottrarre ai familiari in quanto cattolico. Occasione per scavare in certi lati lati oscuri del cattolicesimo e di quel Papa Pio IX, ambiguo e retrivo, di cui Bellocchio ricostruisce con efficacia l’immagine e le responsabilità nel “caso Mortara”. Ci vorrebbe un bel coraggio - per questo e per altro - a farlo Santo, a conclusione di un percorso di beatificazione già avviato… Per prepararmi al film, che finalmente ho visto e che non è solo il racconto di una vicenda terribile e dolorosa e profondamente ingiusta, avevo letto “Un posto sotto il cielo” di Daniele Scalise, uno dei molti libri dedicati a questa vicenda, che interessò all’epoca io mondo intero. Il già citato Pontefice non solo non mosse un dito (nel nome del “no possumus) e anzi seguì da vicino la storia e persino la formazione religiosa del bambino, che ne uscì palesemente stravolto, divenendo prete fra paranoie e confusioni. Mori novantenne in un convento in Belgio, colpevole persino del tentativo di far abiurare a membri della famiglia, tra cui la madre, la religione ebraica, ovviamente respinto. Doveroso capire come anche la tutela delle minoranze religiose debba far parte dei fondamenti democratici e fa onore agli autonomisti valdostani - scusate la digressione - il legame storico con i valdesi delle vallate piemontesi. Ma, in recenti lunghi viaggi aerei che sono facilitati dall’ampia scelta di film, ho visto un altro film arricchente, cui in questo caso farò seguire un libro di approfondimento già individuato. Si tratta del film, anch’esso recente, diretto da Stephen Williams, intitolato “Chevalier”, che si ispira alla vera storia di Joseph Boulogne (nato nel 1739 o nel 1745 secondo le diverse fonti e morto nel 1799), noto nella sua epoca come il ”Mozart nero”. Figlio illegittimo di una schiava africana e del proprietario di una piantagione francese, che lo condusse a Parigi, facendogli studiare musicaz Divenne Chevalier de Saint-Georges, titolo ottenuto da Maria Antonietta, consorte di Luigi XVI, l'ultima regina di Francia dell'ancien régime, che morì ghigliottinata nel 1793 nella temperie della Rivoluzione francese che segnò la fine della Monarchia. Boulogne, per vicende personali ruppe con la regina, fu vittima di razzismo e si avvicinò al movimento rivoluzionario. Ma nella Storia resta soprattutto come compositore e violinista di talento nel panorama musicale europeo durante il XVIII secolo. Anche in questo caso uno spunto utile per capire da un caso singolo lo spaccato di un periodo storico e l’evoluzione avvenuta, per fortuna, nel tempo. Con i film si realizza il pensiero del regista Bernardo Bertolucci: ”Ricorderemo il mondo attraverso il cinema”.