Mi sforzo, nella quotidianità della routine della strana figura politico-amministrativa di chi fa l’assessore regionale, di non perdere il contatto con le realtà più grandi, in cui si inquadrano i destini di una piccola Regione come la Valle d’Aosta. Giusto, infatti, occuparsi della quotidianità e dei problemi incombenti che si rincorrono, ma male sarebbe non cercare ogni tanto di volare più in alto, da dove osservare quanto sta avvenendo sul piano più propriamente istituzionale. Risulta evidente che ci sono due discussioni preminenti che devono impegnare intellettualmente chi ritiene che alcuni capisaldi della Costituzione debbano essere la cornice indispensabile per il futuro dell’ordinamento della Repubblica. Mi pare, a questo proposito, ovvia la logica perseguita dal Governo Meloni e dalla stessa Presidente del Consiglio, che mira ad un Premierato a sua misura che rafforzi la sua attuale leadership. Un’operazione in corso che ancora non si capisce molto nei testi, talvolta contradditori, che escono e alimentano un dibattito indispensabile, perché la scelta non è banale in una democrazia purtroppo fragile come quella italiana. Dall’altra la componente leghista del Governo, lasciato ormai da tempo il filone federalista, spinge per l’ottenimento, per chi lo voglia, di quella autonomia differenziata che farebbe fare uno scatto in avanti alle Regioni a Statuto ordinario in una serie di materie che sono circoscritte dal comma tre dell’articolo 116, così come venne modificato nell’ormai lontano 2001. Su questa possibilità, prevista dalla Costituzione, si è scatenata una bagarre davvero eccessiva rispetto agli spazi di autonomia che si prospettano. In fondo i due elementi si contraddicono o si integrano a seconda dei punti di vista. Nel senso che c’è chi potrebbe dire che al rafforzamento del potere di Palazzo Chigi farebbe da contraltare in contemporanea una valorizzazione del regionalismo in una logica di equilibrio dei poteri. Se così fosse allora sarebbe giusta la strada su cui stanno discutendo le Regioni a Statuto speciale, quando indicano la necessità di approfittare dell’eventuale “pacchetto” Premierato e Autonomia differenziata per ridare poteri competenze alle Autonomie speciali, che si sono viste attaccate troppo spesso da una logica centralistica di varia provenienza che ha oggettivamente abbassato il loro tasso di libertà. Personalmente credo complesso immaginare di avere la botte piena (un Premier che raccoglie in sé enormi poteri) e la moglie ubriaca (un rilancio reale del regionalismo). Può essere che sia diventato malfidente, ma ci sono segnali chiarissimi, come la concezione e gestione del PNRR, il sistematico ricorso al contenzioso costituzionale sulle leggi regionali e la palude in cui finiscono le norme di attuazione per le Speciali, che dimostrano una crisi profonda come progetto politico del regionalismo italiano. Per cui penso che si debba essere cauti ad immaginare una stagione florida per il regionalismo. Sarebbe bene, tuttavia, che le Regioni – e le Speciali si stanno confrontando fra loro intelligentemente – uscissero da quel piagnisteo cui io stesso assisto periodicamente, quando ci si accorge della protervia dello Stato e delle periodiche invasioni di campo in materie regionali. Capita però che troppo spesso chi in un riunioni ristrette fa fuoco e fiamme diventi poi mite agnellino di fronte a Ministri “invasori di campo”. Ciò avviene in una logica cieca di schieramento politico per non disturbare il manovratore, quando invece l’adesione sincera al regionalismo e al suo sviluppo dovrebbe andare al di là di appartenenze partitiche. Perché lo si dovrebbe fare a difesa dei propri territori e delle proprie comunità come valore superiore. Capisco che rischio di vincere un premio per la mia ingenuità, ma capita ancora di avere una sana indignazione e di non fare il callo rispetto all’imperversare di certe incoerenze. E dunque non dispero che ci possa essere qualche spiraglio e bisogna operare per questo.