Ferragosto coincide quest’anno per me con alcuni giorni di vacanza. Quanto ho sempre aborrito, perché costa tutto più caro e c’è troppa gente in giro. Ha scritto bene Beppe Severgnini: “Ogni anno, all'inizio dell'estate, si leggono dotte analisi sulle ferie scaglionate, le vacanze «mordi e fuggi», le partenze ragionevoli (intelligenti, sembra eccessivo). Poi arriva Ferragosto ed è tutto come sempre: la gente, se appena può, a casa non ci sta. Mordiamo sì, ma solo se non ci lasciano fuggire lungo autostrade affollate. Non si capisce se siamo costretti o invece amiamo il rito collettivo e i suoi aspetti barbarici: resse, code, attese, sofferenze e lamentele”. Ho sempre teorizzato l’incanto delle lunghe giornate di Giugno e la calma di Settembre. Ma i giochi ad incastro familiari mi hanno costretto al cimento e volerò distante e ne parlerò se ci saranno spunti per farlo. Così tocca ragionare sul senso della vacanza e di quello spazio diverso dal solito per chi ha la fortuna di poterlo fare. Inutile raccontarsi storie: tutto ormai è diverso. Un tempo la vacanza, se non domestica che è altra cosa, significava staccare davvero. Raccontare ai giovani di quel mondo incantato, fatto di cabine telefoniche e ozio senza digitale impellente, immagino che possa risultare ridicolo per chi, come ormai noi stessi, vive l’assillo della perenne connessione. Ricordo quando vidi spuntare in mezzo agli ombrelloni- e non molti anni fa - gli antesignani dell’uso del tablet in spiaggia e quanto li trovassi volgari e inopportuni. Oggi è la normalità per tutti. Capitava in certe escursioni di incontrare persone con cui si creavano quelle amicizie istantanee, destinate a finire con il tempo della vacanza. Oggi è rarità, essendo tutti sprofondati nel telefonino con l’ansia di non avere il segnale o la batteria bassa a rischio spegnimento. Ci possiamo ridere e constatare quanto si sia ipocriti a fare la morale ai figli più piccoli ormai asociali seriali, ma poi da dove viene la predica se noi adulti - pure imbranati con certe novità digitali che ci obbligano al continuo apprendimento - facciamo persino peggio. Vittime come siamo di un assillo trasformatosi in dolce dipendenza. Così la vacanza stessa si trasfigurare e diciamocelo chiaro e tondo: non ci si riposa mai, perché non si stacca come avveniva in passato. In salsa vacanziera emerge il tema che fa impallidire la lotta dura e pura sul salario minimo, che sarà pure condivisibile (e tra parentesi dovrebbe essere terreno sindacale), perché ormai l’argomento a tutela di tutti sarebbe il sacrosanto diritto alla disconnessione. Sarebbe un marameo alla mail che arriva, al Whatsapp che spunta, alla call cui non si può mancare, al Social che pulsa nelle nostre mani. Quel che pareva all’inizio un Paradiso è oggi un Inferno, che non ti consente di sgombrare la mente da molti pensieri e di esercitare il diritto da mettere in Costituzione del “far niente” nelle feste più o meno comandate. Mi sentirei talvolta di essere un luddista o un sabotatore e buttare in mare o in dirupo montano telefonino e IPad e so di non potere farlo non per logica o diritto, ma perché queste diavolerie mi stregano e mi impediscono di essere libero di godermi la vacanze e il già evocato ozio. Che non è un disastro, ma andrebbe gestito con altre curiosità che non siano l’ipnosi da Web e affini. Scriveva Bertrand Russel, prima della schiavitù digitale: “Essere capaci di riempire intelligentemente le ore di ozio è l’ultimo prodotto della civiltà, e al giorno d’oggi pochissime persone hanno raggiunto questo livello”. Figurarsi cosa direbbe oggi di noi ingobbiti sui dispositivi che perdiamo panorami, luoghi, pensieri in libertà e tutto quello che la vita in vacanza ci propone con proposte diverse dal solito tran tran.