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09 ago 2023

I molti dubbi sull’Unesco

di Luciano Caveri

Confesso le mie colpe: anni fa e ancora di recente ho perorato la causa del riconoscimento del popolo walser come patrimonio immateriale dell’umanità dell’Unesco con incontri vari. Confesso la mia delusione nel non capire certi meccanismi, che fanno sì che ultimi arrivati nelle richieste schizzino in cima e taglino il traguardo. Lo si è visto anche nella trafila sinora infruttuosa della candidatura del Monte Bianco, tanto da rendermi sempre più scettico. Intanto, Unesco è diventato un erogatore di riconoscimenti di vario genere, oltre a patrimonio mondiale, tipo il registro della Memoria del mondo, il patrimonio sommerso dell’umanità, il programma l’Uomo e la Biosfera L’Unesco ha fino ad oggi riconosciuto un totale di 1157 siti (900 siti culturali, 218 naturali e 39 misti) presenti in 167 Paesi del mondo. Vi invito a scorrere l’elenco con riconoscimenti che stupiscono o fanno ridere. Ecco perché ho letto con interesse due articoli scritti sul Corriere da due personalità veneziane, miei vecchi amici: Renato Brunetta e Paolo Costa sulle recenti minacciose denunce sul futuro della città lagunare espresse da Unesco, dopo visita apposita. Brunetta: « I tre ispettori che hanno riferito agli uffici dell’Unesco, in una visita di quattro giorni hanno visto e capito tutto, specialmente dove noi italiani abbiamo sbagliato. Hanno dettato 50 raccomandazioni (oltre 12 per ogni giorno di visita) all’Italia al fine di mantenere l’«Eccezionale Valore Universale» del sito. L’Italia ha risposto, con pazienza, a tutte le 50 raccomandazioni. Le abbiamo prima discusse con i «portatori di interesse», con organismi scientifici e associazioni. E il sindaco si è prodigato in incontri con i governi che si sono succeduti. Ma non è bastato. Già il titolo del documento che dovevamo consegnare all’Unesco non ci piaceva: «stato della conservazione del sito». Per la Costituzione, la Repubblica Italiana «tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione», e la «tutela» è molto di più della «conservazione». Venezia è bene tutelata, dalle azioni che il Paese ha messo in campo, ma soprattutto dalla passione dei suoi abitanti e degli italiani tutti. È l’amore per Venezia, condiviso da milioni di persone nel mondo, il suo principale «Eccezionale Valore Universale». Quindi no, non la chiuderemo alle visite: il flusso dei visitatori, anche grazie alle nuove tecnologie, sarà regolato, non interrotto. Venezia nasce sul mare e con il mare convive. Se il livello del mare sale, come abbiamo sempre fatto, ci adatteremo. Il flusso della marea viene regolato dal Mose, non è stato permanentemente interrotto. Grazie al Mose siamo la città costiera più sicura del Mediterraneo almeno per i prossimi 80 anni. L’ingresso delle navi a Venezia viene regolato dalle necessità ambientali e sono stati eliminati gli eccessi (le grandi navi passeggeri), ma non chiuderemo il porto, che continuerà a generare posti di lavoro e a sostenere l’economia. L’industria di Porto Marghera si è già adeguata alle regole ambientali e, mentre rimediamo ai danni del passato, stiamo attraendo industrie «verdi». Venezia oggi vuole raddoppiare il proprio già eccellente polo universitario, per contribuire alla rigenerazione sociale ed essere fucina di nuovi talenti, una «città campus», moderna e vitale. Il documento Unesco dice che non è chiara la strategia complessiva per Venezia: evidentemente non l’ha compresa. La «governance» di Venezia da sempre è materia complessa, e coinvolge non solo il governo e le sue articolazioni, ma anche il Parlamento, il consiglio regionale, i consigli comunali, i cittadini insomma. Vengono sempre ascoltate le voci delle istituzioni internazionali, e tutto viene analizzato e dibattuto alla luce del sole. Tuttavia, l’Unesco chiede, con ripetuta arroganza, che sia il suo ufficio di Parigi ad avere l’ultima parola sulle scelte operate. Non sarà così, questo non rientra nel mandato della Convenzione del 1972, della quale l’Italia fu tra i promotori, come è oggi tra gli Stati membri più impegnati a sostenere le attività dell’Unesco”. Brunetta ha ragione e così Paolo Costa sul Corriere Veneto: ”Ci risiamo. Qualche mese prima della 45esima riunione del Comitato per il Patrimonio Mondiale dell’Unesco, che quest’anno si riunirà a Riyadh (Arabia) in settembre, viene messa in agenda la proposta di iscrivere Venezia nella Lista dei siti «in pericolo». Non diversamente dal 2021, prima della 44a riunione prevista a Fuzhou (Cina), ma tenutasi online, dal 2019, prima della 43esima di Baku (Azerbajan), e magari anche prima.  Questa volta Venezia dovrebbe andare dietro la lavagna per non aver seguito le indicazioni nel contenimento del turismo di massa, nel perseguimento di progetti di sviluppo, e per non meglio specificate inadempienze relative ai «cambiamenti climatici». Nessuna cognizione del fatto che, forse, il turismo di massa prospera proprio per la strategia Unesco: conservare le pietre frutto del «genio dei padri» per farle visitare a soddisfazione della «curiosità dei foresti»; eppure dovrebbe esser chiaro che il bollino Unesco viene cercato e ottenuto - da ultimo, nel Veneto, dalle Colline del Prosecco e da Padova Picta - per aumentare i visitatori. Conservazione cieca dei monumenti e via libera ai turisti che in destinazioni come Venezia viene perseguita dall’Unesco anche impedendo ogni “sviluppo” che, creando alternative all’economia turistica, mantenga viva la comunità insediata”. Costa, già sindaco di Venezia e mio collega in Europa, cita in modo puntuale tutte le iniziative che non piacciono a Unesco, che invece sono frutto di progettualità decise e ponderate dagli esponenti eletti democraticamente per salvaguardare Venezia e consentire la vitalità del tessuto economico e sociale. Per poi concludere: ”In questa condizione la cosa migliore da fare – lo scrivo dopo averci pensato a lungo - è che Venezia si auto escluda dalla Lista del patrimonio mondiale gestita dall’Unesco. Senza polemica. Almeno temporaneamente. Per il bene di Venezia e per quello dell’Unesco. Venezia non ha bisogno del bollino Unesco per attirare visitatori. Non diminuirà il suo «eccezionale valore culturale» perché questo non verrà più certificato dagli ispettori”. Che Unesco ragioni nella sua espansione autoconservativa che crea perplessità e forse ha ragione chi incomincia a ragionare su costi e benefici di questa organizzazione internazionale. Lo dice con la solita foga un altro veneziano mio amico, Massimo Cacciari, già sindaco anche lui di Venezia: "L'Unesco è uno degli enti inutili più costosi sulla faccia della Terra... Sparano giudizi senza conoscere e senza sapere, procedono decretando pareri a destra e a manca, di cui è bene disinteressarsi: sono una baracca di 'mangiapane a tradimento', non tirano fuori un soldo, non danno un finanziamento per interventi reali, sanno solo decretare... Come se Venezia avesse bisogno dell'Unesco per essere un bene dell'Umanità!".