Ogni tanto nel paese dove abito incontro un signore anziano che conosceva mio papà e frequentava casa mia quand’ero bambino. E ogni volta mi dice: “Di te ricordo che avevi sempre un libro in mano”. Sono stato fortunato in questo per almeno tre ragioni. La prima è che a casa mia c’erano e nella casa di famiglia ci sono ancora un sacco di libri, in parte persino antichi, appartenuti a nonno e bisnonno e in parte acquisti fatti da mio papà. E - seconda fortuna - spinto sempre da mio padre - sono sempre stato incoraggiato a comprare dei libri senza limitazioni di sorta, perché considerati soldi ben spesi su cui non lesinare. La terza fortuna è che da ragazzino c’era la biblioteca di Verrès ben fornita è più avanti quella del Liceo classico di Ivrea. Poi, raggiunta una mia indipendenza economica, andar per libri, curiosando nelle librerie, mi è sempre piaciuto. Ricordo la bella libreria davanti a Montecitorio, quand’ero deputato. Oggi, in effetti, leggo meno per colpa di queste diavolerie digitali che tendono a ipnotizzarti. Non che non si legga, naturalmente, ma è un soltabeccare che certo è arricchente, ma viene rubato un sacco di spazio e ne risente anche il rapporto con i libri. Il vantaggio di certe tecnologie, a detrimento dei librai resistenti che ammiro, è che riesci sul Kindle a cercare i libri più vari e ad ottenerli in un batter di ciglia. Naturalmente non abbandono le librerie e ho una certa predilezione per quelle degli aeroporti e ce ne sono di bellissime e ben rifornite. Mi ha molto divertito seguire il caso dell’attuale grottesco ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, che al premio Strega - abilmente intervistato da Geppi Cucciari - ha candidamente ammesso di non avere letto, limitandosi a sfogliarli i libri votati. Ho visto il filmato di questo passaggio e Sangiuliano si è costruito la fossa da solo, seguendo in diretta tv il filo di una sua vanità (terribile avversario per chi fa politica) con evidente prosopopea sino alla gaffe che lo ha inchiodato. Giorni fa sull’incidente è tornato, dall’alto della sua cultura mostruosa e di una capacità rara di trasmetterla, Corrado Augias su la Repubblica. Colpisce nelle sue riflessioni l’uso di una frase che va riletta più volte per capirne bene il significato. È di Marcel Proust: “Non esistono forse giorni della nostra infanzia che abbiamo vissuto intensamente quanto quelli che crediamo di aver perduto senza viverli, i giorni trascorsi in compagnia di un libro molto caro”. Più avanti cita, invece, Franz Kafka: “Se il libro che stiamo leggendo non ci colpisce come un soffio di vento nel cranio, perché annoiarsi leggendolo? … Un libro dev’essere l’ascia che spezza il mare ghiacciato dentro di noi”. Viatico per una scelta che mi appartiene: se il libro non mi “prende” merita l’abbandono, che lo rende tristemente un oggetto inanimato. Nel tempo - anche per questa sorta di triage fra buoni e cattivi nella scelta ovviamente soggettiva - sono stato agevolato da una tecnica di lettura che ho imparato da solo e senza alcun merito personale. È una lettura veloce di visione dell’intera pagina, che consente anche maggior rapidità non solo per i libri, ma anche per i documenti di lavoro. Ricordo con divertimento lo scetticismo dei miei due figli più grandi che, scettici su questa mia rapidità senza meriti, mi interrogavano sui passaggi dei libri ed era in fondo una possibilità indotta per spingerli alla lettura.