L’Ansa l’ha spiegata così e alla lettura non sapevo se ridere o piangere: “Biancaneve ispanica, senza principe e senza nani. Il nuovo film della Disney firmato dalla sceneggiatrice e regista del momento, Greta Gerwig, uscirà solo nel 2024 ma ha già scatenato un acceso dibattito tra chi lo accusa di aver snaturato la fiaba del 1937 in nome del "politically correct" e chi lo saluta come la necessaria attualizzazione di una storia datata. A creare il clamore e scatenare i social media è stata una foto pubblicata dal tabloid britannico Daily Mail delle riprese del film in Bedfordshire, Inghilterra. Nell'immagine si vede Biancaneve con il suo caratteristico mantello rosso sopra l'abito giallo e blu seguita da un gruppo di creature magiche d'ogni genere, dimensioni ed etnia. "GoWoke or GoBroke", ha scritto un utente di Twitter accusando l'industria cinematografica negli Stati Uniti di essere "succube" della cosiddetta "cultura woke", ovvero anti-razzista, pur di vendere i propri prodotti”. Non è la prima volta in cui il politicamente corretto e il cancel culture si mischiano alla “cultura woke”. Woke, letteralmente "sveglio", è un aggettivo della lingua inglese con il quale ci si riferisce allo "stare all'erta", "stare svegli" nei confronti delle ingiustizie sociali o razziali. Tutto bene quando non si cade nel ridicolo, come con questa rivisitazione, che può essere usata - tanto per fare un esempio - per tutto l’insieme di favole e fiabe. Ricordo come la favola sia di regola scritta da un autore, ha per protagonisti animali e alla fine contiene una morale con la quale si vuole insegnare un comportamento o condannare un vizio umano. La fiaba invece ha origini popolari antichissime, risale addirittura alla preistoria, e non ha una morale. Mi ha molto divertito il sarcasmo da equilibrista sul tema dell’ottimo Gianluca Nicoletti su La Stampa: “Davvero non mi spiego il piagnucolare diffuso delle vedove del Principe Azzurro di Biancaneve. Ancora meno riesco a capacitarmi per l’horror vacui che ha provocato la scomparsa dalla vita di quella fanciulla di sette coattoni, buzzurri, violenti, misogini e soprattutto avidi trafficanti di diamanti. Davvero esistono ancora donne capaci di rimpiangere quel giovane farlocco figlio di papà, che si sente un fico andando in giro con una mantellina ridicola che appena gli copre il sedere, con uno spadino di misura imbarazzante, con un taglio di capelli da locandina di antico barbiere di paese? Iniziamo a vederci chiaro sulle figure ambigue dei Sette Nani, ne dedurremo quanto non sia possibile per persone civilizzate lamentare la messa al bando di quella cosca di malavitosi”. E aggiunge più avanti in modo graffiante: “È fuori di dubbio che il periodo che Biancaneve passa a casa dei nani sia assimilabile a un regime di schiavitù: la obbligano alle mansioni più umili senza ombra di compenso, lei è costretta a lavare i loro pedalini zozzi, le loro mutande incrostate, pulire casa, cucinare. Oltre che provvedere di persona alla loro animalesca igiene intima. Tutto senza nemmeno applicarle il contratto nazionale per le colf e badanti che prevede equo salario, riposo settimanale, ferie e Tfr? Lo sfruttamento da parte dei nani papponi della sventurata Biancaneve non si ferma neppure con la sua morte. Continuano ad abusare di lei persino quando la ragazza fatalmente collassa, nell’apoteosi della disperazione, pone fine alle sue sofferenze dopo essersi incautamente affidata a una vecchia pusher, con l’illusione di poter evadere dalla sua angoscia ricorrendo a sostanze psicotrope”. Ovviamente si riferisce alla terribile mela e poi Nicoletti sfotte lo stucchevole lieto fine. Per altro avevo letto che i censori del politicamente corretto avevano stigmatizzato il famoso bacio del Principe Azzurro, perché dato - senza il suo consenso - ad una Biancaneve dormiente! Su Twitter tale “Estrema riluttanza” ha raccontato una storia che apre uno squarcio ancora diverso: “Fu proprio "#Biancaneve" a impedire la cessione dei diritti degli scritti di #Tolkien a #Disney. "Biancaneve e i sette nani" uscì 3 mesi dopo "Lo Hobbit" e Tolkien andò a vederlo con l'amico C.S.Lewis, il padre del ciclo di Narnia. Tolkien ne fu disgustato. I nani della "Ne riconosco il talento, ma mi è sempre sembrato irrimediabilmente corrotto. Sebbene nella maggior parte delle creazioni dei suoi studi ci siano passaggi ammirevoli o affascinanti, il loro effetto su di me è di disgusto." L'anno dopo scrisse una lettera esplicita ai suoi editori "finché sarà possibile… porremo il veto a qualsiasi cosa che abbia a che fare con gli studi Disney (per i cui lavori ho un sincero disgusto)." Fu la pietra tombale sui tentativi Disney di acquisire i diritti sugli scritti di Tolkien”. Aggiungo solo che ovviamente in Disney l’intento sui nani (lancerà difficoltà è ricordarne i nomi di tutti e sette) era quello non di sfottere chi affetto da nanismo, ma di creare personaggi buffi che si rifacevano ad una favola famosa di origini popolari, resa mondiale nella stesura da parte dei Fratelli Grimm. Per altro - e chissà come la possono giudicare i censori del film - questa fiaba del 1812 è profondamente diversa da quella che tutti noi conosciamo. La matrigna è in realtà la madre di Biancaneve, che ha soltanto sette anni, e la vuol fare uccidere per mangiarle fegato e polmoni con sale e pepe. Il principe la conosce nella bara di vetro in un momento imprecisato dell’età della ragazza, che non viene risvegliata dal veleno della mela né da un bacio dell’uomo, ma dagli strattonamenti dei servi, stanchi di vedere il principe iracondo a causa dell’amore necrofilo per il cadavere della ragazza. Roba più horror delle simpatiche canzoncine dei sette nani e di Biancaneve.