Le culture resistono e cambiano. Sono come giunchi al vento della globalizzazione. Esemplari sono le abitudini alimentari. In quasi tutto il mondo potete mangiare l’hamburger di McDonalds o il pollo fritto di KFC, la pizza e gli spaghetti li trovi sotto tutti i cieli anche se trasformati rispetto alle versioni originali a noi ben note. E poi, per fortuna, persistono cucine etniche (termine meno discusso sui cibi) e ogni popolo mantiene e diffonde le proprie identità nella scelta di cosa mangiare e bere. Poi la scienza inventa cose nuove, che potranno fare orrore ma nessuno fermerà, come le carni sintetiche e il latte artificiale, ma la scelta di cosa mangiare resta un fatto soggettivo. Cosa solo parzialmente vera, pensando a quanta umanità ancora vive stati di malnutrizione o difficoltà per avere acqua potabile: si calcolano in questa situazione almeno 800 milioni di esseri umani! Ho comprato l’altro giorno un numero speciale del Courrier International dedicato al tema del cibo ed è un ricco racconto - tratto dai giornali di tutto il mondo e dalla redazione stessa - attorno ad abitudini e novità alimentari, che sono influenzati anche dal cambiamento climatico. Interessante scoprire ad esempio come l’insicurezza alimentare in Paesi poveri possa passare attraverso l’accesso a frigoriferi, che evitino a frutta e verdura di essere buttata via anche dove la loro produzione è ricca e potrebbe soddisfare di più la domanda. Esistono temi seri nel Terzo mondo di proprietà e uso delle terre, così come emerge anche in Occidente la questione della sovranità alimentare come elemento di forza dei singoli Paesi, per non dire di come la mancanza d’acqua e il suo contrario (pensiamo alla recente alluvione in Romagna che ha distrutto il settore frutticolo) pesano sulle produzioni alimentari. I francesi sono rimasti basiti di scoprire di come la loro celebre moutarde era diventata rara per via di mancati raccolti in Canada per la siccità e la guerra in Ucraina (che ha avuto ripercussioni enormi sul mercato mondiale del grano). La crisi climatica ha messo in ginocchio, per dire di prodotti tipici, i raccolti del famoso zafferano greco e delle olive spagnole. Appassionante il tema degli insetti e del loro consumo, che qualcuno trova uno scandalo, quando in alcuni Paesi come la Thailandia è considerata una leccornia. Nel citare il consumo dei funghi in Sudafrica viene evocata una specie che ha incorporato anche delle formiche che danno un plus in proteine. E fra le carni strane il giornale cita la carne d’orso giapponese venduta in tutto il mondo e la carne di mammut creata in laboratorio da una società australiana. Sempre in laboratorio nascono moltissimi prodotti per vegani che chiedono di riprodurre prodotti di origine animale che non intendono consumare per motivi legati alle proprie convinzioni. Esiste per esempio una fondue svizzera senza raclette che fa impressione solo a parlarne e i burger vegetali, che sembravano destinati a grande successo, hanno fatto flop con ricaduta su società quotate in Borsa. Certo che qualche spiegazione colpisce, come il piatto nazionale balinese con carne di tartaruga, ma con la novità che le tartarughe di mare in via di estinzione sono state sostituite da quelle abbondanti di acqua dolce. Così come il fatto che molto pesce, sia di mare che di fiume, sua orrendamente contaminato da materie inquinanti e microplastiche. Un vasto capitolo riguarda il fatto che il cibo viaggia, va di moda per poi decadere, si sposa con altro, resiste nelle tradizioni con varietà tali che mostrano come la capacità di adattamento dell’umanità e quanto è servito ad espanderci anche negli ambienti naturali più difficili e persino ostili. Con evidenti stranezze, come i formaggi inglesi che conquistano la Francia o la baguette francese amata negli Stati Uniti. Godibile l’articolo di un giornale spagnolo che dimostra che esistono cibi di destra e di sinistra: anche nel piatto c’è la politica!