La democrazia è un sistema complesso, costruito nel tempo e come tale ha dovuto mantenersi vivo, affrontando profondi cambiamenti. Alternative migliori non si sono manifestate e per questo bisogna difendere l’esistente e lavorare per migliorare le regole dello stare assieme. Tutto si gioca su equilibri: equilibrio fra maggioranze e opposizioni frutto del voto popolare e equilibrio fra i diversi poteri di un ordinamento democratico che si bilanciano per non uscire dal seminato. Esistono in questi solco equilibri interni fra poteri centrali e democrazia locale e le organizzazioni politiche, motore della partecipazione dei cittadini, devono garantire regole di convivenza interne e fra di loro. Un meccanismo delicato e lo vediamo anche in antiche democrazie, ben più mature e rodate di quella italiana, che appare molto spesso al limitare di crisi più o meno forti. Ognuno può su questo avere le opinioni più disparate e approfitto dell’odierna Festa della Repubblica del 2 giugno per provare a citare qualche punto. La prima questione, da cui si evincono molte cose dette e non dette, è la fragilità stessa di questa Festa, che ricorda il referendum del 1946 - che già fu litigioso persino per il conteggio dei voti - fra Monarchia e Repubblica. Analogamente purtroppo alla Festa della Valle d’Aosta, che dovrebbe ricordare l’emanazione dello Statuto di autonomia speciale del 22 febbraio del 1948, mentre questa ricorrenza è del tutto priva di qualunque reale partecipazione popolare. Sono solo le ”autorità” a fare qualche cerimonia mordi e fuggi con discorsi di circostanza e corone di alloro. Brutto segno se si compara a quanto avviene in vecchie democrazie, che hanno date sentite e partecipate anche dai cittadini. Sarebbe bene tornare - come già venne previsto da una legge regionale - al 7 settembre, , data in cui si metteva assieme l’antico e cioè la presenza in Valle d’Aosta dei Savoia per le udienze in occasione di San Grato, Patrono della diocesi, con il Decreto luogotenenziale del 1945, che è il seme da cui fruttò lo Statuto. Seconda considerazione: possiamo riderci sopra oppure rimpiangere inutilmente epoche passate, ma resta indubbio e scolpito nei curricula che si assiste in Italia ad un lento degrado della qualità intellettuale e culturale della classe politica. Saranno pure i sistemi elettorali inefficaci, che nel caso del Parlamento privano ì cittadini di scelte reali, che fanno ormai a monte i partiti in vece loro. Ma basta seguire un dibattito nelle assemblee elettive vicine e lontane per chiedersi che cosa sia successo e questo apre uno squarcio sul perché tante persone capaci e meritevoli sfuggano e non si impegnino più nell’agone politico. Infine vorrei segnalare la logica crescente dei leader politici in Italia di sfuggire al confronto diretto con i giornalisti, preferendo messaggi via Social diretti rivolti ai propri fans e questo crea un’evidente comfort zone per chi ha cariche pubbliche, sfuggendo di fatto a domande scomode ma utili. Il male accomuna Giorgia Meloni, che spiega le sue ragioni in filmatini e il più noto è la camminata a Palazzo Chigi con culmine nella sala del Consiglio dei Ministri con i Ministri seduti come scolaretti, con Elly Schlein nuova leader del PD, che dopo il flop alle amministrative ha usato Instagram per rassicurare i “suoi”. La democrazia, invece, dovrebbe essere altro. Lo ricorda bene Aldo Grasso sul Corriere: “Quando Silvio Berlusconi inviava le cassette registrate dei suoi interventi ai tg, lo faceva perché non voleva essere «tagliato», reinterpretato. Sosteneva che attraverso l’immagine tv il suo messaggio arrivava «forte e chiaro», senza manipolazioni. Adesso c’è la diretta Instagram. Per questo oggi molti politici, da Giorgia Meloni a Elly Schlein, preferiscono rivolgersi ai cittadini dai propri account personali, sia per sottrarsi alle domande dei giornalisti sia per evitare le interpretazioni dei medesimi. Possono entrare in gioco anche ragioni psicologiche: non tutti (plurale sovraesteso) hanno una forza carismatica per affrontare una conferenza stampa. Stiamo assistendo a un fenomeno epocale che ha già largamente investito le logiche del mercato e ora sta trasformando quelle del mondo della comunicazione. C’è stato un tempo in cui il passaggio delle dichiarazioni di un politico ai cittadini dipendeva in larga parte dai giornalisti”. E aggiunge in chiusura: “Oggi la dinamica rischia di rovesciarsi: per ragioni tecnologiche e generazionali, il politico preferisce muoversi in un ambiente virtuale in cui la dinamica del potere fra politica e media è sbilanciata a suo favore. I social network, come ben sappiamo, permettono a chiunque di comunicare ai follower la propria opinione: la «disintermediazione digitale» ha accorciato le distanze tra gli attori coinvolti, spesso a scapito dei ruoli. Quindi la comunicazione viaggia su binari più sicuri? La proliferazione di informazioni online genera smarrimento e non tutti hanno la stessa capacità di comprensione del testo. Il politico si sente più «protetto» ma il cittadino è meno tutelato e si rischia anche di esacerbare un digital divide già esistente nelle diverse classi sociali”. Giuste considerazioni.