Ci sono libri che sono come un bel fiore nel grande prato della produzione letteraria. Interessante poi se il libro racconta di una scrittrice e giornalista come Matilde Serao (1856-1927), personalità eclettica e con una produzione sui giornali e nella letteratura vastissima, la cui biografia racconta di una vita ricca e talvolta turbolenta in un contesto fin de siècle, affacciandosi al Novecento sino all’ingiusto smacco di perdere il Premio Nobel per la letteratura per la scelta di Mussolini di bloccare la sua candidatura a causa delle sue posizioni contro il fascismo. Ma torniamo al libro. Mi riferisco a “Alla montagna debbo ritornare” scritto da Chantal Vuillermoz, edito da Tipografia valdostana e Musumeci editore, che ha l’esaustivo sottotitolo “Donna Matilde Serao, villeggiante nell’estate del 1892”. In modo accurato nel descrivere questo soggiorno e con un racconto che dipinge la villeggiatura con maestria, l’autrice dimostra l’assoluta ricchezza di questa visita dipanatisi prima in Val di Gressoney, poi in Val d’Ayas, in seguito in Valtournenche e infine a Courmayeur, senza dimenticare le esperienze annotate ad Aosta e in altre località del fondovalle. Il suo viaggio attraverso la Valle, come puntualmente spiegato dalla Vuillermoz che svela anche nelle note personaggi e località per capirne meglio il contesto, dimostra una precisa capacità di descrivere luoghi e persone, dandoci uno spaccato della società valdostana del tempo e dei turisti più o meno illustri che la visitavano. Non svelo eccessivamente gli aspetti suggestivi delle diverse tappe, che la Serao racconta con raro afflato descrittivo, che dimostra come la sua vita fosse intrisa da un desiderio quasi cinematografico nel rappresentare il mondo che l’attorniava e che scopriva con un’invidiabile curiosità. Al limite della grafomania, si capisce come mai si fermasse questo flusso di annotazioni, descrizioni, sensazioni, che appaiono di una modernità da Social, ma con una scrittura ricca e suggestiva. Resa ancora più scolpita nel racconto che Vuillermoz costruisce con logica cartesiana, che si sposa ad una grande freschezza che costringe il lettore ad essere anch’esso curioso delle scoperte della Serao. Emerge la capacità di empatia della scrittrice negli incontri con le diverse persone, da quelle semplici alle personalità più o meno illustri. Lo ricorda anche in altro testo la scrittrice Elisabetta Rasy con una testimonianza illuminante: “Che Matilde fosse una donna eccezionale – nel senso letterale di un'eccezione alle regole: la regola dell'ambiente italiano e quella del suo genere sessuale – se ne accorse perfino una signora snob come la scrittrice americana, ma europea per scelta e per gusto, Edith Wharton, la pupilla di Henry James. Quando negli ultimi anni della Vecchia Europa, alla vigilia della Grande Guerra, la incontrò nell'elegante e selettivo salotto parigino di Madame Fitz-James, la Wharton non esitò a definirla nel suo diario «una donna tozza e grossa, rossa in faccia e sul collo», riconoscendo, però, che quando prendeva la parola era capace di raggiungere punte che l'americana cosmopolita e chic non aveva mai rilevato nei discorsi delle altre donne”. Una fascinazione che l’autrice del libro sulla visita valdostana conferma nell’inquadrare questa donna così speciale, specie nella prima parte, in una vita fatta di alti e bassi, di gioie e dolori, di amore e odio, dimostrando una straordinaria passionalità. Nelle ultime pagine colpiscono le citazioni delle pagine della Serao che lascia la montagna valdostana in cui non tornerà più, malgrado avesse scritto che lo avrebbe fatto, immaginando le medesime località viste in estate coperte dalla neve. Pensieri densi e poetici, pieni di immaginazione.