Capisco - e lo dico subito - di non poter fare troppo lo spiritoso rispetto al tema odierno. Per la semplice ragione che ho nella dizione del mio assessorato PNRR e tra poco capirete il perché. Ha scritto, infatti, Salvatore Merlo suo Foglio, evocando anzitutto l’ennesima gaffe (in italiano “topica”) di certo nazionalismo all’amatriciana di Fratelli d’Italia: ”Fabio Rampelli voleva rendere più comprensibili le leggi e i provvedimenti impedendo l’uso delle parole straniere. Tuttavia a noi pare che le parole straniere siano talvolta l’unica cosa più o meno comprensibile della Pubblica amministrazione e del linguaggio legislativo. Prendiamo l’ultimissima notizia relativa al Reddito di cittadinanza, quello che il governo Conte chiamava “Rdc” e che il governo Gentiloni, altro esempio di schiettezza espressiva, aveva all’incirca già introdotto (ma battezzato col nome di “Rei”, che non è né la protagonista di Star Wars né la versione catanese di Ray Charles). Ebbene anche il governo Meloni ha dato il suo estremo contributo. Con una riforma. Che suona all’incirca in questo modo, state bene attenti: “Il Reddito di cittadinanza viene ora diviso in Pal, Gil e Gal a cui si accederà attraverso la piattaforma Siisl da tradurre poi nel progetto Gol”. Arrivati a questo punto riteniamo probabile che per formare un autore di acronimi legislativi ci voglia un allenamento che inizi sin dalla più tenera infanzia, in scuole apposite”. Noto, come annotazione, che - per chi ama il francese, ma so che capita anche in inglese - questa storia degli acronimi è vecchia come il cucco, mentre da noi ha cominciato a dilagare nel tempo e ormai si è diffusa come un virus e rende difficile il dialogo. Quando mi occupavo di scuola e oggi che mi occupo di innovazione, mi trovo chiuso nella morsa di sigle varie, che devono apprendere per non perdersi e mi accorgo con orrore di adoperarle io stesso troppe volte! Ancora Merlo: “Sarebbe altrimenti impossibile spiegare questa prodigiosa fioritura di talento (a volte di genio) che attraversa in maniera trasversale il nostro ceto politico e amministrativo: Aato, Aec, Avcp, Atem, Ato, Bat,bit, Bod, Cimo, Cial, Cip, Dps, Dpr, Dpf, Fsn, Fos, Fnps, Gpp, Gui, Ipl, Ires, Isee, Liveas, Pum, Put, Pul, Pai, Pci, Ruc, Ruc, Rd, Sis, Sit, Soa, Tari, Trise, Tuir, Upi, Urp, Uo... E adesso anche “Pal”, “Gil” e “Gal”, che sembrano i tre elfi di Tolkien. Per raccapezzarcisi ci vorrebbe un nuovo “Vli” (vocabolario della lingua italiana). E pare quel racconto di Ennio Flaiano, quando il vecchio che è andato a colonizzare la Luna ricorda senza rimpianto la Terra: “Troppi verbi, troppi concetti. Sulla Luna abbiamo una sola lingua. Per mangiare diciamo ‘gnam’, per bere ‘bomba’ e per dormire ‘dodò’”. Ciascuno di noi (idraulico, medico o banchiere) fa un mestiere il cui successo si basa anche sulla fiducia che gli altri hanno nella nostra capacità di avere opinioni chiare e di esprimerci in maniera comprensibile”. Ma fossero solo gli acronimi a metterci all’angolo, personalmente noto come le leggi, i regolamenti, le circolari siano scritte con i piedi e il burocratese dilaghi e renda difficile si cittadini la comprensione e ci vorrebbe una App che consentisse di avere traduzioni terra a terra. Esiste un sadismo di certi “scrittori” e talvolta questa oscurità è una scelta apposita per consentire comode interpretazioni, spesso espansive sul lato della spesa. Chiosa il commentatore: “Che sia incomprensibile lo stato, comincia a diventare un affare serio. E non è certo un caso se già nel 1993 Sabino Cassese, ministro della Funzione pubblica, riunì un gruppo di linguisti per dare alle stampe un dizionario utile, ma ampiamente disatteso, a tradurre in maniera comprensibile i testi delle leggi. Rampelli in fondo voleva dire questo, crediamo. Ma non se la doveva prendere con l’inglese: è l’italiano che non si capisce” Scrisse il mio amico, Roberto Zaccaria, che si trovò a presiedere il Comitato per la Legislazione in Parlamento, che avrebbe dovuto vigilare su questo: “Come sembrano lontani i tempi in cui l'Assemblea costituente decise di affidare ad alcuni eminenti scrittori e letterati il compito di controllare il testo finale della Il controllo sulla lingua dei testi di legge si lega intimamente al controllo dei concetti e delle categorie giuridiche: la scelta linguistica del legislatore coincide immancabilmente con una scelta di impianto logico e valoriale. Adolf Merkl sosteneva che la lingua «non è affatto una vietata porticina di servizio attraverso la quale il diritto s’introduce di soppiatto. Essa è piuttosto il grande portale attraverso il quale tutto il diritto entra nella coscienza degli uomini». In definitiva è proprio attraverso la buona scrittura delle leggi che il legislatore può perseguire effettivamente ed efficacemente l’obiettivo politico che si prefigge”.