Era prevedibile che sarebbe stata difficile la convivenza di due galli in un pollaio. Il celebre detto ora si può applicare al tentativo in fase di naufragio di mettere assieme Italia Viva di Matteo Renzi e Azione di Carlo Calenda nell’ormai famoso Terzo Polo. Da giorni - segno che ormai il parto non ci sarà - i due se le cantano e se le suonano, come capita quando la discussione politica trascende. Ciò avviene in realtà in un clima di generale disinteresse per uno scontro personale fra due leader, che serve a poco e insanguina i Social con insulti e improperi. Resta e campeggia la questione delicata del ruolo del leader, figura carismatica che serve in politica, con la necessità che non diventi un solista, ma sia un direttore d’orchestra che sappia dirigere e ricordi il ruolo dei singoli musicisti per fare una buona musica, perché la bacchetta non basta da sola a dare autorevolezza. Bisogna che sappia far convivere anime diverse e sappia come far crescere talenti e mantenga rispetto verso altre personalità, sapendo che lui stesso è amovibile. Nessuno alla fine deve ritenersi indispensabile in una democrazia, soprattutto in un’epoca in cui a bruciarsi per chi arriva al vertice è un attimo. Traggo dal sito “una parola al giorno” una definizione sintetica dell’uso della parola leader: “Capo, guida di un partito o di uno schieramento politico; esponente principale di un gruppo, movimento culturale, ecc. Nello sport, concorrente che è al primo posto in classifica durante un campionato o una gara o il cavallo che è in testa in una corsa. Usato anche come aggettivo, di solito per definire qualcosa all’avanguardia in un determinato settore”. L’etimologia è facile: voce inglese, dal verbo to lead, ‘guidare’, ‘condurre’. Ma non si tratta in italiano di un anglicismo recente e uso la stessa fonte: “Il leader, che indica il capo di un partito, viene mutuato dalla lingua inglese nel 1834, assieme ad altri, numerosi prestiti, adattati e non, che vengono importati, direttamente o tramite la mediazione del francese”. Poi un comprensibile scenario si apre attraverso la parola: “In un periodo ricco di stravolgimenti dal punto di vista sociopolitico, in cui fette sempre più ampie della società iniziano ad appropriarsi dei propri diritti di cittadini, anche la percezione e la gestione della cosa pubblica cambiano, e la diffusione del vocabolo inglese ne è una delle numerose dimostrazioni. E qui arriviamo alla seconda, importante differenza che contraddistingue la nostra parola: non ci troviamo di fronte ad un termine tecnico, tutt’altro. Il leader è in qualche modo l’evoluzione del capo, in un momento in cui guidare un partito, un governo o una formazione politica è sempre meno prendere ed imporre decisioni unilaterali dall’interno dei palazzi e sempre più essere capaci di trascinare le masse, il cui consenso diventa imprescindibile per ottenere il potere. Siamo quindi ben lontani dal freddo, asettico mondo del linguaggio settoriale e andiamo dritti verso i sentimenti che un leader dev’essere in grado di suscitare per conquistare sostenitori: la sua guida (termine che traduce l’anglismo fedelmente) dev’essere rassicurante e guadagnare fiducia attraverso tutta una serie di doti che sono ritenute fondamentali per questa figura, dalle abilità comunicative alle capacità decisionali, dal prestigio al grande carisma. Un tragico apice fu raggiunto dai capi dei grandi regimi totalitari del Ventesimo secolo, la cui leadership, come noto, fu portata fino alle estreme conseguenze, e la loro incarnazione di leader si ritrova anche negli appellativi che li hanno contraddistinti, con Führer e Duce che significano, letteralmente, proprio guida, condottiero. Oggi leader conserva, a differenza di questi corrispettivi, un’accezione estremamente positiva, con riscontri negli ambiti più vari (oltre alla politica, ricordiamo lo sport, l’economia e il mondo del lavoro, la cultura e lo spettacolo, la psicologia) e tanti derivati quali leadership, leaderboard e leaderismo a confermare la sua solidissima presenza nel nostro lessico”. La stessa piccola comunità valdostana deve riflettere, pensando al dopoguerra, a certe personalità faro espressione quasi sempre (sarei tanto di togliere il quasi) dell’area autonomista ed è bene proprio per il futuro di quest’area, impegnata in una cruciale fase in questo momento di riunificazione dopo anni di divisioni, confrontarsi su modelli organizzatovi che mettano assieme personalità forti che sappiano ricomporre diverse anime con rispetto reciproco e capacità di sintesi sulle soluzioni ai problemi reali. Per questo ci vogliono delle guide, termine caro per chi ami la montagna e la metafora della cordata che scala una cima. Il verbo “guidare” viene significativamente dal germanico medievale “widan” e significa ‘indicare una direzione’. Sfida mica da sottostimare nella temperie complessa di questi anni, in cui ci vogliono molta buona volontà e tanta solidarietà e non la gramigna delle liti.