Mi è capitato poche volte di testimoniare in un processo e di leggere la formula di rito: ”Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza”. La verità! Userei per definirne i contorni difficili questa citazione: “L'uomo appassionato di verità, o, se non altro, di esattezza, il più delle volte è in grado di accorgersi, come Pilato, che la verità non è pura”. Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano”. Il caso vuole che Repubblica si sia occupata in questi giorni di Ponzio Pilato nella serie “Sulle tracce della Via Crucis” scritta da Stefano Massini: “Egli ci viene descritto come un funzionario niente affatto illuminato, anzi piuttosto incline all'angheria e al sopruso, noto per aver sedato con mattanze di sangue ogni minimo vagito di protesta. Ma ciò che più vale è che il signor governatore non perdeva occasione per mostrarsi un gradasso, tipicamente affetto da abuso di potere: aveva umiliato i locali esponendo nel perimetro della Città Santa i vessilli divini di Tiberio, e quando (dall'imperatore stesso) era stato obbligato a rimuoverli, aveva insistito con ulteriori gesti di disprezzo, per cui in più occasioni era stato richiamato all'ordine dai suoi superiori. È sufficiente a delineare il personaggio, o occorre aggiungere che non mancano accuse di venalità e corruzione?”. E ancora: “La storiografia ci consegna l'immagine di un politicante dozzinale, di bassissima lega, un lillipuziano che d'un tratto si scopre davanti a qualcosa di molto più grande di lui: quel giovane profeta che era entrato a Gerusalemme accolto da tripudi di folla, adesso gli veniva consegnato dai Sacerdoti che lo volevano morto, e può perfino darsi che Pilato avesse percepito un'energia insolita negli occhi di quel figlio di falegname, ma resta agli atti che per paura o per menefreghismo egli subodorò che la faccenda stavolta era seria, che c'era da compromettersi, e non si volle sporcare le mani”. Ricordo, incidentalmente, che il rudere del castello di Nus in Valle d’Aosta, chiamato ”di Pilato”, deriva da una leggenda, perché storicamente infondata essendo la costruzione di epoca medioevale, secondo la quale il procuratore romano Ponzio Pilato vi avrebbe soggiornato mentre si recava a Vienne in Gallia, dove sarebbe stato esiliato da Caligola e dove sarebbe morto suicida. Il ponziopilatismo è, comunque sia, pessimo ed è un modo per far decidere ad altri, quel orribile ”furor di popolo”, che tanto piace ai populisti, che amano aizzare le piazze, perlopiù in alternativa ai meccanismi della democrazia rappresentativa. Dovessi dire a me piace molto il termine “sincerità”, che fa parte del mio carattere e la considero una medaglia, mentre chi non mi ama ritiene questa caratteristica un grave difetto. Ricorda Miriam Di Carlo sul sito dell’Accademia della Crusca, attorno al termine “sincero”: “Obsequium amicos, veritas odium parit” e cioè ”l’adulazione procura amici, la sincerità i nemici”: è un verso tratto dall’Andria di Terenzio (v. 68), ripreso poi da Cicerone nel De amicitia”. Esiste su ”sincero” un’etimologia falsa: “Anche la parola sincero ha un’origine illuminante nella sua etimologia, sine ceris = senza cera. Nell’antichità, quando una statua aveva dei difetti, si poteva aggiustare con la cera, che andava a mascherare e a levigare il marmo corrotto. Invece quando era perfetta, e non aveva bisogno di correzioni, veniva definita sincera, senza cera. (Alessio Atzeni, Arte del risveglio)”. Proprio l’esperta della Crusca così aggiusta il tiro: “In realtà, come indicano i principali dizionari, l’aggettivo latino sincerus ha tutt’altra etimologia: deriva dalla radice sem-/sim- ‘uno solo, unico’ (da cui anche l’avverbio latino semel ‘una sola volta’ e l’aggettivo simplex ‘semplice’) e da -cērus, corradicale del verbo crēscere ‘diventar grande, aumentare’ e significa dunque ‘di una sola/unica origine; tutto d’un pezzo“. E ancora più avanti: “L’etimologia rispecchia il primo significato della parola in latino: la sincerità è una virtù che in primis riguarda l’integrità dell’uomo a prescindere dall’aspetto “sociale” e relazionale. Per estensione poi, chi è sincero, ossia puro e incorrotto nel cuore, è automaticamente leale e franco nella relazione con l’altro“. Che bello sentirsi sincero, anche se talvolta - ecco l’autocritica - può capitarmi di essere un pochino…ruvido.