Ho passato una parte della mia carriera politica a rispondere agli attacchi e ai pregiudizi nei confronti dell’Autonomia speciale. L’ho sempre fatto, in diverse situazioni, in una logica di difesa e anche di attacco. Difesa verso chi la metteva in discussione e ne limitava il ruolo. Attacco per allargare, ove possibile, poteri e competenze. Ho portato a casa importanti modifiche dello Statuto di autonomia e norme nella legislazione ordinaria utili per la mia comunità in un’interlocuzione nel segno della dignità istituzionale e mai con il cappello in mano. Per questo mi sono abituato anche agli attacchi come quelli di pochi giorni fa sul Corriere con un paginone firmato da Milena Gabanelli, che prosegue sul Corriere quel giornalismo sperimentato per anni in tv con Report. Un giornalismo che non mi è mai piaciuto, perché alla ricerca dello scoop e del sensazionalismo militante. Anni fa fui sottoposto da una loro giornalista, quand’ero Presidente della Regione, ad una lunga intervista, di cui alla fine misero pochi secondi. Non si può dire che fosse un’intervista, era semmai un interrogatorio a tratti fazioso, che mirava a a farmi dire qualcosa di sbagliato per inseguire una certa tesi. Non caddi in contraddizioni e dunque non venni considerato interessante. Ovviamente l’attacco alle Speciali sul Corriere aveva un uso strumentale. Serviva cioè a segnalare gli intollerabili privilegi delle autonomie speciali per dire no alla famosa autonomia differenziata per le Regioni a Statuto ordinario, di cui si discute in questo periodo. Non sarà la prima e neppure l’ultima volta che le Speciali finiranno nel tritacarne e ormai ci ho fatto il callo. Intendiamoci: questo non significa affatto non accettare le critiche e fare autocritica sulle cose che non vanno. Passo ore intere ad occuparmi di questioni che non funzionano come dovrebbero e la nostra Autonomia, che è assunzione di responsabilità, dovrebbe essere più efficiente ed efficace. Ma questo non potrà mai voler dire buttare via l’acqua sporca con il bambino. Ogni difesa non deve avvenire in modo meccanico e per partito preso, ma è intollerabile anche il suo opposto, fatto di attacchi gratuiti, ripetitivi e pieni di rancori. E ogni difesa, anche quando si trasforma in attacco contro polemiche faziose, deve avvenire contando su di una comunità valdostana coesa su certi punti fondamentali. Spesso, però, i nemici dell’Autonomia ce li abbiamo in casa e li vediamo in azione tutti i giorni e diventano loro complici coloro che con il silenzio o l’indifferenza finiscono per diventare - lo ripeto - conniventi. Spesso c’è chi tace, purtroppo, perché ha perso per strada la cultura autonomistica, che dovrebbe essere un patrimonio comune, sviluppato a diversi livelli di coscienza personale. Ecco perché bisogna trasmettere ai giovani, mai in una logica di indottrinamento ma di presa di coscienza, valori e idee di un autonomismo sano e della fierezza di essere valdostani. Un patriottismo buono di cui essere protagonisti e testimoni. La consapevolezza politica sta su un piano ancora superiore, perché non è solo espressione di un amore per la terra natia e per un insieme di tradizioni e di valori identitari, ma un coinvolgimento nei meccanismi storici e giuridici che fondano le ragioni dell’Autonomia. Questo consente solidità di convinzioni e capacità di reazione e di coinvolgimento nel patrimonio di idee e di speranze da passare di generazione in generazione contro il rischio di oblio e dì disinteresse. Ciò non significa passatismo o ricopiatura di quanto già fatto, perché l’Autonomia è elemento dinamico ed è una continua interlocuzione interna e soprattutto esterna da seguire consci, come valdostani, dei nostri diritti e ancor di più dei nostri doveri.