Considerate questa la seconda voce sul futuro della politica della montagna, che arriva della Valli occitane, nostre consorelle. Questa volta la parola è quella di Mariano Allocco, mio amico, che mi scuserà se sforbicio un pochino quanto da lui pubblicato su La Stampa di Cuneo: “Riprendendo quanto ha scritto Fredo Valla su “visione che manca e la politica che ci serve”, torno a ribadire quanto sia sempre più evidente una frattura tra Città e Contado e, specialmente per l’Italia del Nord, tra Monte e Piano. Un confine interno che corre lungo curve di livello in tutto l’Occidente, che emerge in ogni campo, evidente anche sul piano elettorale. Da un lato i grandi numeri delle masse urbane, dall’altro un territorio alpino scarsamente popolato, ma la cui storia può dare un contributo essenziale di fronte alle sfide che in questo momento storico ci attendono e di cui non conosciamo la portata”. Poi prende velocità: “Due mondi che stanno perdendosi di vista, ma che possono e devono trovare il modo di pensare assieme un avvenire possibile. Non vedo alternative. Perché allora non lavorare ad un “patto tra eguali”? Qualcuno pensa che si possa continuare guardando verso le Alte Terre come luogo di svago e da cui prelevare le ultime risorse? La Costituzione all’Articolo 44 sancisce che “La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane”, ma l’attuale legge nazionale per la Montagna rimane inapplicata. La “Legge Carlotto”, nel suo primo articolo ha come obiettivo le “insopprimibili esigenze di vita civile delle popolazioni residenti”, obiettivo che confligge con una politica montana che dagli anni ’90 pone al suo centro l’ambiente e non l’uomo che quell’ambiente vive. Da un lato, dal piano, si guarda verso le Alte Terre ponendo l’attenzione sull’ambiente, mentre le Alpi sono state storicamente una delle zone più antropizzate d’Europa e, se non si vuole farne un deserto, l’attenzione va riportata proprio sull’uomo che quell’ambiente vive. Questo è il sostanziale cambiamento di paradigma che la politica deve riuscire a cogliere e l’unica strada percorribile per le popolazioni delle Alte Terre è quella di recuperare una capacità di elaborazione e di azione politica propria, l’alternativa è un colonialismo interno”. Insiste poi: “L’Italia del Nord, con l’Arco alpino che avvolge pianura più urbanizzata d’Europa e il Piemonte in particolare, possono essere il cantiere per giungere al necessario Patto tra Piè e Monte, tra Monte e Città per pensare un avvenire possibile nell’interesse di tutti. Proviamoci perbacco, sperando che questo argomento inneschi un “Luogo e Laboratorio di idee” per una Politica con orizzonti nuovi! I temi su cui confrontarsi sono molti e impostare un dibattito utile per “vivere il Monte” sarebbe utile anche per “vivere il Piano” e mi chiedo se, in questo momento storico, l’anello debole a breve non saranno le periferie delle città. L’inurbamento iniziato dopo l’illuminismo e la prima industrializzazione sta dando segni evidenti di fatica e recuperare un corretto rapporto tra Monte e Piano andrebbe a vantaggio di tutti. Della necessità di giungere ad un “patto di sindacato” tra Monte e Piano, così lo chiamava lui, me ne aveva parlato nel lontano ’95 Gustavo Malan, uno dei firmatari della Carta di Chivasso e questa sta imponendosi come una sfida da cogliere per pensare un avvenire possibile”. Gustavo fu mio amico e il suo carattere ribelle e la giovane età all’epoca lo rese l’ultimo testimone di quel celebre incontro e documento di Chivasso del 1943 di cui nel prossimo dicembre ricorderemo gli 80 anni. Ancora qualche passaggio del contributo di Allocco: “Da un lato i grandi numeri delle masse urbane, dall’altro un territorio scarsamente popolato, un confronto che è storia vecchia, la “questione montana”, emersa chiaramente fin dalla fine del XIX secolo, rimane ancora tale. In Italia non c’è solo una “questione” che riguarda il Nord e il Sud, ma anche quella tra il Monte e il Piano, argomento da tempo assente dalla agenda politica. Nel secolo scorso il problema è cambiato nei termini, ma una costante è rimasta sempre eguale: la popolazione che vive le Alte Terre è sempre stata tenuta fuori dalla ricerca di una soluzione. La mancanza di una rappresentatività dei montanari nella struttura di potere è sempre stata evidente e intravvedo in queste dinamiche una attenzione per le ultime risorse rimaste, con l’affacciarsi di politiche colonialiste”. Personalmente ho sempre cercato di fare in modo che la Valle d’Aosta mai si dimenticasse di un ruolo da protagonista nel dibattito sulla montagna e una muovo studio sul futuro della Montagna sta partendo con l’Università della Valle d’Aosta e non faremo mancare la nostra voce in un dibattito nazionale che riguarderà anche la nuova legge sulla montagna non buttando via le parti vive della “Carlotto“ che votai alla Camera, sapendo che in troppi se ne occupano in modo spesso astratto e senza avere reale contezza dei problemi dei montanari e dei loro territori, che noi conosciamo e abitiamo senza troppi birignao ideologici. Una vecchia battaglia combattuta con amici come Allocco con cui ci capiamo con un batter di ciglia e vorrei davvero che ci ritrovassimo tutti attorno a punti cardine da far avanzare.