Leggo sulla pagina di Cuneo de La Stampa un intervento di un noto intellettuale occitano, Fredo Valla, regista, sceneggiatore e giornalista. Un montanaro doc di Sampeyre, che stimo e conosco, che ha realizzato numerosi documentari per la televisione e ha partecipato alla produzione di vari film, in cui molto spesso ci sono state storie delle sue montagne, della sua gente e della sua cultura. Con molto garbo e più diplomazia rispetto a certi miei interventi. Valla, come leggerete, mette alcuni punti fermi di critica a chi pensa di avere una specie di monopolio sulla montagna e contro la “convegnite”, ma propone anche con un giusto richiamo anche ai doveri dei montanari. Ecco il testo: “Il Cai fin dalla sua fondazione nella seconda metà del XIX secolo, ha avuto un ruolo fondamentale per la conoscenza e la divulgazione delle montagne italiane. Una pratica, quella alpinistica, che si sviluppò dapprima in una società aristocratica e alto borghese, intelligente, curiosa, danarosa, sensibile al vigore del proprio corpo e alle novità che la scienza andava rivelando... con molto tempo da perdere. Si diffuse via via tra i ceti popolari, favorita da una nuova organizzazione sociale che consentiva orari di lavoro meno disumani e la conquista del cosiddetto «tempo libero». Ecco dunque il Cai promuovere e favorire tra i soci, anche attraverso le proprie publicazioni, itinerari, sentieri, e cime non propriamente alpinistiche, di un alpinismo minore, a misura di domenica, di fine settimana, di ferie estive. Un alpinismo pur sempre in altitudine; oltre le meire, oltre i pascoli, verso le rocce, i laghi, i crinali, i nevai... bei paesaggi abbastanza facilmente raggiungibili. Sono nati i rifugi e una piccola economia di alta quota legata all'escursionismo. Un po' di reddito, insomma. ma niente in confronto ai guadagni prodotti dall’industria dell'escursionismo con attrezzature tecnicamente sempre più raffinate (o semplicemente alla moda), per non parlare delle calzature e dei vestiti firmati. Con gli anni le pubblicazioni del Cai hanno talvolta allargato lo sguardo all'uomo che in montagna vive, o viveva. Per intenderci, dai pascoli in giù, nelle borgate e nei paesi che, come sappiamo, dalla seconda dalle metà del XX secolo si sono andati rapidamente spopolando. Sulle pubblicazioni sono comparsi articoli, spesso molto interessanti, sulle tradi-zioni, sulle vicende storiche, su aspetti di economia montana. Pubblicazioni un tempo soltanto sulla carta e ora soprattutto digitali. Si sono anche moltiplicati i convegni sulla montagna. Le intenzioni sono certo lodevoli, ma io non vi partecipo più. Forse perché l'alpinismo delle rocce, dei bei paesaggi, dei laghi e delle creste non è fra i miei interessi primari. Forse perché provo un certo disagio a sentire parlare di rinascita della montagna, sviluppo, economia, minoranze linguistiche, ecologia, clima, rapporto uomo-animali, da persone che amano la montagna, ma non ne hanno esperienza di vita. Che salgono dalla città, dalle colline, dalle metropoli a dire che cosa si dovrebbe fare. Che fanno analisi, discutono animatamente e a fine convegno chiudono la cartellina e tornano nelle loro dimore. Scherzando a volte dico agli amici che il patentino da montanaro (e il diritto di parola) lo si dà soltanto a chi ha trascorso per lo meno tre inverni con neve in montagna, e con figli che vanno a scuola. Esagerato? Certo. Dopodiché, se a parlare di montagna sono altri, è colpa anche dei montanari che non sanno essere protagonisti, raccontare di se stessi, lottare per i propri diritti. Spesso, quella di montagna, è una società stanca, talvolta senza volontà, capace soltanto di rivendicare e non di proporre. Che fare? Ci vorrebbe forse più politica. Più temi montani nella politica. L'Italia, a guardarla sulla carta, è una penisola in cui prevale il marrone, più chiaro, più scuro... il marrone delle montagne, di Alpi, Appennini, monti della Sardegna e della Sicilia. Forse sarebbe ora di metterle al centro delle scelte. Al centro della politica. Mettere la montagna al centro della politica non significa avere uno sguardo unidirezionale, ma immaginare obiettivi di sviluppo per questi territori, in una visione d'insieme e in relazione con lo sviluppo delle coste, delle pianure, delle metropoli. Forse, come sostiene l'amico Mariano Allocco, ci vuole una nuova e inedita alleanza fra montagna e piano, fra montagna e città”. Grazie, Fredo.