Il passaggio è impercettibile. Da oggi siamo in Quaresima, anche se poi – a definire l’incertezza del confine esatto del Carnevale (che vuol proprio dire “carnem levare”, togliere la carne, e cioè il periodo della Quaresima) – ci sono carnevali che sforano. L’esempio più eclatante resta il Carnevale ambrosiano, i cui festeggiamenti principali saranno il sabato di questa settimana, anziché il martedì. Questo accade perché, nel rito ambrosiano, è diverso il modo di contare le date di inizio e fine Quaresima. Nel rito romano (quello osservato dal resto d’Italia) le domeniche non vengono contate come giorni di penitenza e dunque la Quaresima dura di più e comincia prima. Fu Sant’Ambrogio, che nel IV secolo era vescovo di Milano, a decidere che le domeniche fossero calcolate. Mi stupisce sempre questa banalità del calendario che ci scandisce la vita con una rassicurante ripetitività, di cui il Carnevale, che oggi da noi si estingue, è uno dei passaggi obbligati. Questa idea che permea le nostre culture, che alternano momenti di follia controllata, qual è appunto la logica carnevalesca, a momenti morigerati come il periodo quaresimale. Anche se il primo resta piuttosto stabile, mentre al Quaresima, con l’assottigliarsi dei praticanti, ha perso quel suo duplice significato: “fare la quaresima”, ovvero osservare il periodo di digiuno e di astinenza in preparazione alla resurrezione di Cristo e, dall’altra in termini sanzionatori, “rompere la quaresima”, che significa trasgredire ai precetti. Perché il Carnevale non deflette e resta vivo nell’animo popolare? Con una sociologia da strapazzo si potrebbe annotare che il Carnevale afferma dei diritti e cioè la libertà di divertirsi e anche di trasgredire pur all’interno di confini non troppo valicabili. Mentre la Quaresima non è solo questione di Fede, ma anche una sorta di imposizione di doveri, che certo hanno significati antropologici assai profondi, come una specie di pausa che ha anche significati legati alla salute dopo gli eccessi. Capisco che sono ragionamenti forse bislacchi, ma fino ad un certo punto. Scriveva Umberto Eco nel suo libro ”Il nome della rosa: ”Anche la chiesa nella sua saggezza ha concesso il momento della festa, del carnevale, della fiera, questa polluzione diurna che scarica gli umori e trattiene da altri desideri e da altre ambizioni... ”. Certo la giornata di oggi ha aspetti che arrivano da un passato remoto. La definizione di questo mercoledì è ”delle Ceneri” per l’antica usanza risalente dei primi secoli della Chiesa di imporre le ceneri sul capo dei peccatori penitenti. Le ceneri sono di conseguenza il simbolo della penitenza. Il sacerdote segna la fronte dei fedeli con la cenere che si ricava dai rami di ulivo benedetti nell’anno precedente. Le ceneri sono considerate un simbolo dell’umiltà, attraverso la quale i peccatori possono sperare nella futura gloria della resurrezione, che è esaltata durante la processione delle palme. Nel 1091 il concilio di Benevento impose che il mercoledì delle ceneri “tutti i religiosi e laici, uomini e donne, che riceveranno le ceneri in un certo senso saranno considerato tutti penitenti”. L’imposizione delle ceneri ad opera del celebrante durante la Messa è inoltre accompagnata anche dalla formula tradizionale “Ricordati che polvere sei ed in polvere ritornerai”. Oppure da quella introdotta dopo il concilio Vaticano II “Convertitevi e credete al Vangelo”. I simbolismi cristiani sono interessanti e basta seguire una Messa in maniera attenta, seguendo il rito e osservando la chiesa dove si celebra, per coglierne la vastità e la profondità.