Leggo diversi commenti sulla performance sanremese di Roberto Benigni sulla Costituzione italiana. Quanto già fece in passato con apposita trasmissione televisiva, che si chiamava con enfasi “La più bella del mondo”. Introdotta da l’Inno di Mameli, la cui bruttezza specie del testo è ormai manifesta, cantata da Gianni Morandi (sic!), l’occasione era ghiotta per la presenza in una sorta di tribuna d’onore in velluto nel cinema-teatro Ariston del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che assomigliava purtroppo alla tribunetta con i vecchietti terribili del Muppet show. Cito un pezzo di un Tweet di Marco Cantamessa, professore universitario che stimo anche per il suo ruolo di Presidente di CVA: “Fatico a ritrovarmi nel tentativo di rappresentare la Costituzione come forma d’arte, o come testo sacro. E’ la legge fondamentale del nostro Paese, e ne definisce le Istituzioni e il perimetro delle norme, il che è tanto, ma nulla più”. Le norme giuridiche servono a questo e quel che è bello della Costituzione italiana, almeno nelle parti originali e non in certe norme successivamente inserite, è l’antiretorica presente nel suo articolato con frasi tacitiane, scritte in un italiano inappuntabile. Per questo l’ampollosità sul testo stride, specie se a commentarla – diciamoci la verità – è un comico, pur intelligente e sensibile come Benigni, che incomincia ad avvertire il rischio di ripetitività. Ed anche - spiace aggiungerlo - che ha una scarsa attenzione al fatto che i tempi televisivi si sono fatti più corti e cala facilmente la palpebra. Tornerò al tema, ma intanto fatemi dire che a Sanremo (dove l’unica digressione accettabile sarebbe stato il video di Zalensky) delle volte bisognerebbe ricordarsi che siamo al Festival della canzone e di conseguenza certi monologhi, come quello imbarazzante di Chiara Ferragni che ha scritto a se stessa bambina, sarebbero meritevoli di spazi altrove. Dicevo della Costituzione e del suo uso “sanremese”. Evito un excursus storico sul significato profondo delle Costituzioni, quel che conta, senza svolazzi e eccessi, è che le carte fondamentali indicano la strada. Per questo la vecchia educazione civica - oggi riproposta sotto nuova forma - si dovrebbe occupare di un tema cruciale come questo, al posto spesso di spaziare in terreni troppo diversi. Vale a dire della necessità, cominciando appunto dalla scuola ma non ritenendola esaustiva, di avere cittadini che capiscano le fondamenta della Repubblica. Per ottenere la necessaria conoscenza della Costituzione anche i messaggi di Benigni sono utili, ma la spettacolarizzazione non basta, perché poi a seguire ci vuole la sostanza, che non si esaurisce sul palco di Sanremo. Ci penso sempre rispetto anche al nostro Statuto, che alla fine sono pochi a conoscere davvero e ci vogliono sforzi per far capire come l’Autonomia debba avere una base giuridica, senza la quale ci sarebbe il nulla. Da un certo punto di vista, proprio in maniera esemplare, ricordo quanto scritto nel decreto luogotenenziale del 1945 all’inizio dell’articolo 1: “La Valle d'Aosta, in considerazione delle sue condizioni geografiche, economiche e linguistiche del tutto particolari, è costituita in circoscrizione autonoma…”. C’è tutto un mondo in quei tre termini. Geografico è condensato in un solo aggettivo la Montagna nella sua essenza più forte e questo ha a che fare con l’economia e le sue conseguenti particolarità, ma anche con l’aspetto linguistico che non è frutto del caso ma della naturale logica di appartenga a una medesima area con Francia e Svizzera. Una sorta di triangolo - i luoghi, le attività umane e le lingue parlate - che fonda le ragioni del nostro ordinamento e che sono da tenere a mente in ogni circostanza. Ciò non riguarda solo la storia contemporanea ma un lunghissimo fil rouge che iniziò già in un lontano passato, di cui noi bene o male siamo l’attuale espressione e dovremmo esserne fieri e pure degni.