Sono arrabbiato che in questa fase storica, così indeterminata e piena di interrogativi per la Valle d’Aosta, proprio nella politica - che da noi è in fondo un piccolo hortus conclusus - ci si divida con facilità. E ci si affronti di conseguenza e troppo spesso con toni forti e lividi in casa propria e gli uni contro gli altri. in certe circostanze - lo dico anzitutto a me stesso - bisognerebbe fare quanto di più semplice: disputarsi in modo anche feroce per trovare poi un punto di mediazione, perché a questo serve la politica. Da sempre in democrazia questa dovrebbe essere una specie di battaglia simulata a colpi di una dialettica che dovrebbe servire - dentro e fuori dalle istituzioni - per non farsi troppo male ed avanzare nella soluzione dei problemi, senza avvelenare i pozzi. Ed è giusto affrontarsi anche in modo deciso e vivace, ma con qualche limite ragionevole per evitare punti di non ritorno, quando il dialogo diventa impossibile e si alzano i toni con troppi decibel. Capiamoci subito: non faccio la morale a nessuno, non avendone l’autorità. Io sono in certi momenti un passionale che si arrabbia e mi scappa pure qualche parola di troppo, quando mi saltano i nervi. Mentre ragionavo su cosa scrivere sul tema che cerco di affrontare, ho letto, per caso, su Le Monde una delle mie rubriche preferite della psicoanalista Claude Halmos, che si occupava proprio del fatto che la collera è un fatto normale e chi pensa di estirparla non ne capisce l’utilità in certi casi. Non mi dilungo e cito solo due frasi: “La colère est l’expression d’une révolte face à des paroles ou des actes qui, outre qu’ils sont douloureux, ont pour ceux qui les subissent, parce qu’ils les jugent anormaux ou injustes, valeur d’agression”. E ancora: “Quoi qu’il en soit, la colère face à une agression est – on ne le dira jamais assez – une réaction non seulement normale et légitime mais utile, et parfois même vitale”. Ma certo non può essere uno stato permanente o un alibi per giustificarne un uso continuo che non si trasformi in qualcosa di diverso e più costruttivo. Bisogna trovare una strada per riprendere il filo interrotto e in politica questo bisogna farlo. Mi riferisco al mio mondo autonomista, dove vivono personalità diverse che dovrebbero dimostrare, anche dopo liti e incomprensioni muscolari e borderline, le ragioni dello stare insieme. So che non è per nulla facile farlo e non predico un buonismo fasullo, ma ragiono semmai su doveri importanti di cui bisogna essere portavoce. A maggior ragione quando si è eletti o si ha un ruolo riconosciuto di autorevolezza nella propria comunità. Talvolta poi bisogna riflettere sull’eco delle proprie polemiche e in certe circostanze vale la saggezza popolare, tipo “i panni sporchi si lavano in famiglia”, prima di affrontare polemiche pubbliche con certi effetti devastanti. Così è per la famosa e ormai quasi mitologica reunification dell’area autonomista valdostana. Quando sembra vicina la riva per l’approdo in un porto sicuro, burrasche improvvise di varia natura gonfiano il mare e le onde rimandano al largo. Resto, tuttavia, ottimista e ritengo che il momento sia indifferibile. Vedremo gli scenari in corso e i ruoli esatti di tutti coloro che a vario titolo calcano la scena. Bisogna accordarsi su di un copione e non recitare a soggetto, cioè sul filo dell’improvvisazione.