Il primo libro sulla Mafia che ho letto in vita mia fu “Il giorno della civetta” di Leonardo Sciascia, per altro fu anche in generale la prima opera letteraria in cui venne esplicitamente affrontato il tema. Era un compito di scuola che mi era stato affidato dalla professoressa, l’indimenticabile Irene Tieghi, che in IV Ginnasio insegnava con trasporto Italiano, Greco e Latino e ci faceva amare queste materie con quella sua ironia e l’affetto verso noi scapestrati pieni di emozioni adolescenziali. Dovetti presentare il libro alla classe ed ero pieno di timori sul risultato e fu anche nell’occasione la scoperta di un autore che ho molto amato. Quante volte ho misurato certi interlocutori con il metro delle celebri frasi di Don Mariano Arena, il padrino, al capitano dei carabinieri Bellodi: “Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l'umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà… Pochissimi gli uomini; i mezz'uomini pochi, ché mi contenterei l'umanità si fermasse ai mezz'uomini… E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi…E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito… E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre… Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo…”. Ci pensavo ieri a questa a quel mondo mafioso che risultava così bizzarro e distante ai miei occhi di ragazzo. L’occasione è l’arresto, che ha riempito le cronache e dato vita ai commenti più disparati, del feroce boss Matteo Messina Denaro, detto U Siccu o Diabolik, ricercato da decenni e sinora introvabile. Non mi aggiungo al coro delle varie vedremo che cosa sortirà dagli interrogatori di un uomo macchiatosi di delitti orrendi. La criminalità organizzata del Sud d’Italia nelle sue diverse versioni (mafia, ‘ndrangheta, camorra, Sacra corona unita) è per l’Italia un problema serio e Sciascia stesso sempre ne “Il giorno della Civetta” scrisse con le parole del dottor Brescianelli, medico parmense amico di Bellodi: “Forse tutta l'Italia sta diventando Sicilia... A me è venuta una fantasia, leggendo sui giornali gli scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso il nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno... La linea della palma... Io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato... E sale come l'ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l'Italia, ed è già oltre Roma...". Lo sappiamo bene anche in Valle d’Aosta ed è bene vigilare senza sconti per nessuno. Bisogna farlo senza drammatizzare il fenomeno come se la Valle d’Aosta fosse l’epicentro della criminalità organizzata. Questo - lo sottolineo per evitare stupide polemiche - non vuol dire per nulla fare finta di niente su quanto emerso in questi anni, ma certi paralleli con le zone calde del vero e proprio governo mafioso del territorio sono ingenerose. Non è affatto una sottovalutazione, ma un invito al modus in rebus. Sciascia parlò in modo in parte inopportuno (polemizzò con Paolo Borsellino, poi morto ammazzato) dei “professionisti dell’antimafia”, ma il termine - tolto dal contesto di allora - suona comunque come un ammonimento. Giustissima - e nelle scuole lo facciamo senza risparmio - ogni formazione alla legalità e alla cittadinanza come antidoto a certi veleni, ma senza dare l’idea che ci si trovi in Valle d’Aosta in fondo ad un baratro di criminalità organizzata.1