È vero che il Consiglio Valle - come per me va chiamato giustamente il Consiglio regionale della Valle d’Aosta - dovrà necessariamente decidere sulla modifica della forma di governo in vigore e ciò in stretta connessione con la legge elettorale che ne consegue. Lo si deve fare perché è oggettivo come in questi anni si sia manifestata una difficoltà di avere maggioranze forti che diano una durata sicura alle Legislature e che consentano così quella stabilità o meglio quella governabilità, che permetta di avere la tranquillità di cinque anni senza scossoni necessaria per essere efficaci nel miglior modo possibile. Si tratta di tenere conto dell’articolo 15 dello Statuto, che offre un campo largo nelle decisioni che possono essere assunte in materia. Evito i tecnicismi e cerco di riassumere quanto successo nel corso della storia della nostra autonomia contemporanea. Sino ad una riforma costituzionale avvenuta nel 1989 e di cui fui autore, la legge elettorale che fondava la forma di governo - con un Presidente “primus inter pares” eletto fra i consiglieri - era purtroppo statale e dunque fu di fatto imposta alla Valle d’Aosta. Prima fu, per breve tempo, maggioritario, poi proporzionale. Poi, come dicevo, la competenza in materia passò finalmente nelle mani dello stesso Consiglio. Che si tratti di meglio adoperare questa possibilità è indubbio, essendo oggettivo che bisogna rendere più stabili i governi regionali e anche più efficace il lavoro del Consiglio. La rivoluzione che consente di poterlo fare - torno alla storia - avvenne nella temperie politica a cavallo fra anni Novanta e Duemila. Sulle ceneri delle Bicamerali per le riforme a Roma, mi ritrovai ad occuparmi, nel cuore dei lavori della Commissione Affari Costituzionali della Camera di cui facevo parte, sia della riforma complessiva del regionalismo (Titolo V della Costituzione) che della della riforma degli Statuti speciali in tema di forma di governo. Per questo ho scritto di mio pugno e discusso con tutta la veemenza necessaria sino all’approdo in aula il già citato articolo 15, escludendo con una battaglia politica motivata che si imponesse alla Valle d’Aosta l’elezione diretta del Presidente, senza escluderla a priori. Per questo ho contestato il tentativo di una congerie di forze politiche, prima con l’uso strumentale, respinto in punta di diritto, della richiesta di un referendum propositivo e successivamente con l’uso distorto del referendum consultivo, di imporre in qualche modo la scelta presidenzialista al Consiglio Valle, che sarebbe diventato ostaggio di fatto di una logica populista. Scelta che lascia abbacinati da parte di movimenti di estrema sinistra da sempre ostili al presidenzialismo e lo sono ancora in modo feroce, quando si ipotizza a Roma questa modellistica per le istituzioni nazionali. Dove sta la coerenza? Insomma: per respingere spinte demagogiche e distruttive bisogna affrontare la riforma in tempo utile rispetto alla scadenza della Legislatura che avverrà nel 2025. Il resto è propaganda dei soliti noti che si sono precipitati a comando di una congerie di vari movimenti e partiti che hanno poco in comune, se non che contano due consiglieri su 35… Insomma: per reagire a logiche strampalate sotto il profilo giuridico e politico bisogna agire, come dicevo, mettendosi al lavoro. Certo nel migliore dei mondi possibili bisognerebbe mettere mano non solo a questa parte di legislazione con leggi statutarie, ma bisognerebbe riavviare la revisione profonda del nostro Statuto d’autonomia nelle parti ormai obsolete e non modernizzabili con le sole norme di attuazione. Per farlo, tuttavia, bisogna avere la garanzia dell’intesa, senza la quale una proposta di revisione dello Statuto di fonte regionale mandata in Parlamento potrebbe essere stravolta dalle Camere con i meccanismi, senza garanzie, dell’articolo 138 della Costituzione. Chi piange e sbraita sul referendum mancato o non ha capito in buona fede le norme statutarie o è semplicemente in malafede, cercando di manipolare l’opinione pubblica e qualcuno ci casca.