Sempre difficile leggere la realtà e capire modificazioni a carattere sociologico da applicare al mondo quotidiano di prossimità dove viviamo, che è poi il primo interesse. Eppure bisogna averne coscienza non solo per capire i comportamenti, ma anche - nei limiti del possibile - per vedere quali reazioni avere. Ho capito che non bisogna parlare di baby gang in Valle d’Aosta. Lo dicono gli esperti di ordine pubblico e non ho competenze tali da esprimermi in modo difforme. Resta il fatto che - gli ultimi episodi riguardano certe corse dei pullman notturni vandalizzzati - esistono “bande” (sarà una definizione giusta?) o meglio forse “cattive compagnie”, che spadroneggiano anche nella piccola Valle d’Aosta in determinate circostanze. Sono forme di teppismo insopportabili, che potrebbero essere raccontate da Sindaci di molti Comuni della Valle. Il bene pubblico diventa oggetto di distruzione, come se scegliere gesti di questo genere fosse qualcosa di eroico per gruppuscoli di giovinastri (termine datato, che rende bene l’idea). Sono violazioni a regole elementari di convivenza, che nulla hanno a che fare - lo ripeterò sempre - con certe ragazzate endemiche in epoca adolescenziale. Anzi, noto con preoccupazione che si superano certi limiti e si piomba in reati veri e propri, ma per i minorenni esistono vasti spazi di comprensione e specie i più giovani lo hanno capito in fretta. Devo dire che si scarica molto spesso sulla Scuola una forte responsabilità su certi comportamenti. Contesto questo scaricabarile. Da noi si organizzano un mare di incontri in aula sulla legalità su temi i più vari, il cui impatto si scontra contro un fenomeno inquietante, benché - sia chiaro - minoritario. Troppo spesso le famiglie allertate del raggiungimento di livelli di guardia nicchiano o minimizzano. Ci pensavo l’altro giorno, premiando gli insegnanti delle scuole valdostane miei coetanei di recente andati in pensione. Apparteniamo a generazioni i cui genitori mai avrebbero messo in dubbio le autorità costituite, cominciando dai doveri scolastici. In caso di uscita dal seminato, mai sarebbe successo di avere nei nostri cari degli avvocati difensori. Anzi, a punizioni si aggiungevano punizioni in una logica di buonsenso ormai infranta. Molte famiglie non solo dimostrano spesso una benevolenza infondata, ma ingaggiano polemiche e esibiscono giustificazioni, anche a fronte di comportamenti sbagliati. Questo beninteso apre una prateria ai ragazzi che sbagliano, come se fosse una sorta di lasciapassare. Sembra essersi rotta una sorta di passaggio fra generazioni. Scriveva Italo Calvino: “Ciò che i genitori m’hanno detto d’essere in principio, questo io sono: e nient’altro. E nelle istruzioni dei genitori sono contenute le istruzioni dei genitori dei genitori alla loro volta tramandate di genitore in genitore in un’interminabile catena d’obbedienza”. Attenzione, questo non vuol dire conservatorismo. Scriveva, infatti, Hannah Arendt: “L'educazione è il momento che decide se noi amiamo abbastanza il mondo da assumercene la responsabilità e salvarlo così dalla rovina, che è inevitabile senza il rinnovamento, senza l'arrivo di esseri nuovi, di giovani. Nell'educazione si decide anche se noi amiamo tanto i nostri figli da non estrometterli dal nostro mondo lasciandoli in balìa di se stessi, tanto da non strappargli di mano la loro occasione d'intraprendere qualcosa di nuovo, qualcosa d'imprevedibile per noi; e prepararli invece al compito di rinnovare un mondo che sarà comune a tutti”. Questo può avvenire, facendo capire fin da subito che i comportamenti sbagliati e borderline al limitare della delinquenza minano certe speranze, le loro anzitutto.