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08 dic 2022

L’ultimo istante

di Luciano Caveri

Mio papà se n’era andato a 86 anni, mia mamma poche ore fa a 92. Entrambi si sono spenti per la consunzione dell’età e ci si rassegna - cosa fare di altro? - a questo disegno del destino. Ricordo, quando lamentavo lo stato di lento degrado di mio papà con un mio caro cugino, Paolo, quale fosse stato il suo commento: “Pensa a chi come me li ha persi troppo presto!”. Era ancora studente, in effetti, quando morirono entrambi i genitori a distanza di poco tempo. Anche lui poi morì troppo giovane per quella malattia che falcidia senza guardare in faccia nessuno. Certo è che quando la morte ci tocca da vicino rifletti necessariamente sulla vita e sul distacco dai propri cari. Più invecchi, per altro, e più perdi familiari e amici. Ricordo a questo proposito gli ultimi periodi della vita di mio papà, quando invocava quasi di morire, sfinito com’era da una condizione di salute sempre peggiore. E diceva di nascosto da mia mamma: ”Non ho più fratelli e sorelle, se ne sono andati gli amici più cari. Non posso fare più niente, che resto a fare?”. Non c’erano parole convincenti di consolazione da dirgli in quel tratto di vita che contraddiceva l’essenza stessa di mio padre, uomo iperattivo, sempre sorridente in una sua profondità d’animo che celava ansie che in parte derivavano dall’esperienza del campo di concentramento, che l’aveva bollato per sempre appena ventenne. Con mia mamma gli ultimi mesi sono stati una sua e nostra tribolazione con un mondo del passato che riemergeva con evidente distacco dal presente sino purtroppo ad una specie di silenzioso oblio, parlando lei solo più con i suoi occhi diventati tristi. Uno sfregio, quella condizione fisica e mentale degradata, rispetto alla sua bellezza di un tempo e a quel suo carattere puntuto, spento dalla vecchiaia. Cosi vanno le cose e sono argomenti ricorrenti con i miei coetanei, impegnati anch’essi al capezzale di genitori anziani, che ridiventano bambini. Penso alle lotte fatte assieme a mio fratello affinché mia mamma accettasse in casa una badante per aiutarla. Esperimento inutile scontratosi con la sua cocciutaggine di fare da sola sino al crollo e alla decisione difficile di trovare una casa di riposo per vivere l’ultimo miglio. Lì si era trovata bene, ma il logorio dell’età ha fatto il resto nell’ineluttabilità del ciclo della vita. Ma con la giusta consapevolezza da parte nostra, nel suo caso, di un’esistenza che era stata felice, piena di cose belle, giunta com’era ad un’età veneranda sino a quel fine vita difficile. Condizione finale che dimostra sempre di essere un confine inquietante, quando di fatto priva di cognizione e di energie fisiche in quello stato di languore che ferisce chi lo subisce e chi assiste impotente. Un tema importante, che in Italia è un tabù e va detto che il testamento biologico non è una soluzione che non mi convince molto, mentre sarebbe preferibile affrontare il tema, in scienza e coscienza, dell’eutanasia, quando il proprio stato di salute diventa nient’altro che un calvario per sé e per gli altri che stanno vicini. Per fortuna quella senescenza che deforma e umilia anche le persone più care svaporerà grazie ai ricordi più belli e ci accompagneranno anch’essi - se così sarà - verso quell’età profonda in cui pian piano, come tutto in Natura, ci avvicineremo all’ultimo istante, verso il mistero dell’Aldilà.