Un anno fa venne firmato il Trattato del Quirinale, che si occupa di una cooperazione rafforzata fra Italia e Francia. Pane quotidiano per noi valdostani per ragioni culturali dovute alla nostra storia e alla nostra posizione geografica e chi se ne dimentica fa un torto al buonsenso, ma anche all’utilità di rapporti che fanno crescere. Per me il Trattato è motivo di giubilo perché si tratta di una miniera di possibilità in cui scavare per chi crede utili per noi i rapporti con i territori d’Oltralpe, le loro autorità e l’insieme delle popolazioni. Per capire come basta poco affinché gli scenari mutino sono sufficienti poche righe. Il Presidente Sergio Mattarella è stato un protagonista assoluto con il Presidente francese Emmanuel Macron di questo Trattato e per fortuna è rimasto a vigilare. Ben diverso è l’approccio della neoPresidente Giorgia Meloni rispetto al suo predecessore, Mario Draghi, uomo dal curriculum europeo che ben comprende i rischi del provincialismo di chi inalbera in modo polemico le bandiere nazionali. Questo è un approccio che non ci può appartenere se vogliamo credere ad un nostro ruolo storico di cerniera fra Italia e Francia, senza il quale si impoverirebbe la nostra autonomia. Non si tratta di essere filofrancesi ma di essere francofili e cioè di dimostrare simpatia per un mondo con cui abbiamo avuto e abbiamo rapporti di vicinato privilegiati e l’uso del francese è una chiave che ci agevola nei rapporti, creando un evidente legame di maggior confidenza e di comprensione della cultura francofona che ha un dimensione mondiale. Ho partecipato ieri ad un seminario organizzato da Università italiane e francesi sulla cooperazione transfrontaliero, di cui in Valle siamo evidenti protagonisti ormai da una trentina di anni. Scorrendo il Trattato, emergono elementi assai stimolanti. Intanto nelle premesse spicca la specificità dell’Arco alpino, che per noi ovviamente è il punto di giuntura con la Francia da tempo immemorabile con i Colli e infine con il Traforo del Monte Bianco Tunnel ormai gravemente acciaccato e dovrà essere un argomento perché il Trattato parla di infrastrutture e trasporti. Ma ci sono anche temi che fanno tremare i polsi, come l’energia e il cambiamento climatico. Molto concreta è la collaborazione nel settore universitario con un ruolo dell’Università della Valle d’Aosta e fra Parchi, pensando ai Parchi confinanti del Gran Paradiso e della Vanoise. Ma un punto cruciale, per il nostro bilinguismo scolastico, è l’insegnamento, così come lo scambio più forte degli insegnanti e naturalmente degli allievi. Nodale sarà il Comitato per la cooperazione transfrontaliera che dovrebbe dare impulso a tutto il sistema e sarebbe bello che il Sommet politico annuale si svolgesse da noi per la prima volta per l’evidente significato anche simbolico. In fondo si tratta di un pezzo di cammino in cui, almeno per quel che mi riguardo, vedo qualche scintilla federalista della mitica Europa delle Regioni, che esiste nei fatti, ma patisce purtroppo di guinzagli degli Stati e di un’Europa ancora troppo debitrice degli Stati. Ogni azione diversa - che pure nasce da interstizi “nazionali” - va sfruttata senza complessi d’inferiorità e mettendoci cuore e cervello.