Questi giorni sono dedicati al ricordo delle persone che non ci sono più e penso che tutti riflettiamo in qualche modo nell’occasione sul mistero della morte. Niente di nuovo, pensando che il culto dei morti è antico quanto l’umanità. Anche se molto cambia a seconda delle epoche e delle culture. Noto, ad esempio, di questi tempi una crescita della scelta di non voler più i propri funerali. C’è chi chiede un annuncio post mortem e talvolta neanche più quello. Così come la scelta della cremazione (che ho chiesto quando verrà il momento) coincide talvolta con la decisione di non aver neanche più una tomba con una dispersione delle ceneri in un luogo amato. Osservava già qualche anno fa Tiziano Terzani: “Quand’ero ragazzo era un fatto corale. Moriva un vicino di casa e tutti assistevano, aiutavano. La morte veniva mostrata. Si apriva la casa, il morto veniva esposto e ciascuno faceva così la sua conoscenza con la morte. Oggi è il contrario: la morte è un imbarazzo, viene nascosta. Nessuno sa più gestirla. Nessuno sa più cosa fare con un morto. L’esperienza della morte si fa sempre più rara e uno può arrivare alla propria senza mai aver visto quella di un altro”. Difficile da far capire questi straniamento a chi ha bisogno, invece, di un luogo fisico d’incontro e confesso di aver visto nei miei viaggi cimitero di diverse confessioni religiose che sono evocativi e profondi. Anzi, consiglio sempre e non per scherzo di non farsi scrupoli a visitare dai cimiteri monumentali ai camposanti dei paesini di montagna, da certi cimiteri mediterranei sul mare a verte sepoltura nelle chiese più prestigiose. Può essere anche una sorta di medicina. Scriveva Emil Cioran: “Alla minima contrarietà, e a maggior ragione al minimo dispiacere, bisogna precipitarsi nel cimitero più vicino, dispensatore immediato di una calma che si cercherebbe invano altrove”. Ha ragione Valérie Perrin: “Credo che ci siano due modi diversi per guardare un cimitero: come un luogo di tristezza e come un giardino "des esprits", un posto pieno di fotografie, di fiori ma anche di epitaffi che parlano d'amore, di bellezza e di resurrezione. Il cimitero è un luogo di tristezza ma anche di struggente poesia”. Da bambino questa storia del periodo dei Morti mi turbava ed erano giorni con cattivi pensieri. Le visite ai cimiteri con le tombe di amici e parenti erano un rito ripetitivo e mi stupivo di quel mondo che si affannava nei cimiteri con una vera e propria alacrità fra tombe e loculi, che risultava stridente con la solennità dei luoghi dell’eterno riposo. Ricordo un pensiero fugace, quasi infantile, in una frase di Antonio Tabucchi che si occupava di chi lì ci sta: “Cosa fanno le persone importanti in un cimitero? Dormono, anche loro dormono uguale uguale alle persone che non contarono niente. E tutti nella stessa posizione: orizzontali. L’eternità è orizzontale”. Pensare alle persone scomparse, specie quelle più care ma non solo loro, alimenta una straordinaria macchina del tempo, che ci consente di evocare momenti e luoghi. E anche di pensare banalmente che pezzettini di chi non c’è più sono rimasti dentro di noi e basta poco per farli rivivere, fosse anche per un momento infinitesimale, che ti fa pensare che con te ci sono ancora o meglio sempre.