Liliana Segre, classe 1930, ha la stessa età di mia mamma, che a differenza sua e della sua lucidità ormai vive, pur in salute, in un mondo suo scisso dalla realtà. Mio papà, che non c’è più, avrebbe oggi 99 anni e molte cose dette dalla Segre all’apertura dei lavori del nuovo Senato, da lei presieduta perché decana, le avrebbe certamente condivise. Vorrei da quella locuzione trarre alcune cose che devono restare passate, cominciando dal commovente incipit in cui ha ricordato il collega Senatore a vita, il già Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, mio amico, che non ha potuto partecipare perché non sta bene. La guerra in Ucraina è stato il primo argomento: “Incombe su tutti noi in queste settimane l'atmosfera agghiacciante della guerra tornata nella nostra Europa, vicino a noi, con tutto il suo carico di morte, distruzione, crudeltà, terrore...una follia senza fine”. E ha citato la chiarezza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: "la pace è urgente e necessaria. La via per ricostruirla passa da un ristabilimento della verità, del diritto internazionale, della libertà del popolo ucraino". Poi , la citazione sul centenario della marcia su Roma, atto primo del Ventennio fascista: “Ed il valore simbolico di questa circostanza casuale si amplifica nella mia mente perché, vedete, ai miei tempi la scuola iniziava in ottobre; ed è impossibile per me non provare una sorta di vertigine ricordando che quella stessa bambina che in un giorno come questo del 1938, sconsolata e smarrita, fu costretta dalle leggi razziste a lasciare vuoto il suo banco delle scuole elementari, oggi si trova per uno strano destino addirittura sul banco più prestigioso del Senato!”. L’elezione qualche ora dopo di Ignazio La Russa, che da giovane sposò il neofascismo, è risultata una ben strana staffetta al comando dell’aula di Palazzo Madama. La Segre sul nuovo Senato, che ha ricordato essere stato votato per la prima volta anche dai diciottenni è ridotto a soli 200 senatori (una scelta che considero aberrante): “Dare l'esempio non vuol dire solo fare il nostro semplice dovere, cioè adempiere al nostro ufficio con "disciplina e onore", impegnarsi per servire le istituzioni e non per servirsi di esse”. Sulla politica urlata: “Potremmo anche concederci il piacere di lasciare fuori da questa assemblea la politica urlata, che tanto ha contribuito a far crescere la disaffezione dal voto, interpretando invece una politica "alta" e nobile, che senza nulla togliere alla fermezza dei diversi convincimenti, dia prova di rispetto per gli avversari, si apra sinceramente all'ascolto, si esprima con gentilezza, perfino con mitezza”. Il successivo riapparire dei franchi tiratori al voto per il Presidente è stato un evidente stridore. Sul futuro ha così commentato: “La maggioranza uscita dalle urne ha il diritto-dovere di governare; le minoranze hanno il compito altrettanto fondamentale di fare opposizione. Comune a tutti deve essere l'imperativo di preservare le Istituzioni della Repubblica, che sono di tutti, che non sono proprietà di nessuno, che devono operare nell'interesse del Paese, che devono garantire tutte le parti. Le grandi democrazie mature dimostrano di essere tali se, al di sopra delle divisioni partitiche e dell'esercizio dei diversi ruoli, sanno ritrovarsi unite in un nucleo essenziale di valori condivisi, di istituzioni rispettate, di emblemi riconosciuti”. E ancora il nodo della Costituzione repubblicana, che sarà assai probabilmente sottoposta a rischi di arrembaggio nei prossimi anni: “In Italia il principale ancoraggio attorno al quale deve manifestarsi l'unità del nostro popolo è la Costituzione Repubblicana, che come disse Piero Calamandrei non è un pezzo di carta, ma è il testamento di 100.000 morti caduti nella lunga lotta per la libertà; una lotta che non inizia nel settembre del 1943 ma che vede idealmente come capofila Giacomo Matteotti. Il popolo italiano ha sempre dimostrato un grande attaccamento alla sua Costituzione, l'ha sempre sentita amica. In ogni occasione in cui sono stati interpellati, i cittadini hanno sempre scelto di difenderla, perchè da essa si sono sentiti difesi. E anche quando il Parlamento non ha saputo rispondere alla richiesta di intervenire su normative non conformi ai principi costituzionali - e purtroppo questo è accaduto spesso - la nostra Carta fondamentale ha consentito comunque alla Corte Costituzionale ed alla magistratura di svolgere un prezioso lavoro di applicazione giurisprudenziale, facendo sempre evolvere il diritto”. Per questo è stata cautissima sulle riforme: “Naturalmente anche la Costituzione è perfettibile e può essere emendata (come essa stessa prevede all'art. 138), ma consentitemi di osservare che se le energie che da decenni vengono spese per cambiare la Costituzione - peraltro con risultati modesti e talora peggiorativi - fossero state invece impiegate per attuarla, il nostro sarebbe un Paese più giusto e anche più felice. Il pensiero corre inevitabilmente all'art. 3, nel quale i padri e le madri costituenti non si accontentarono di bandire quelle discriminazioni basate su "sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali", che erano state l'essenza dell'ancien régime. Essi vollero anche lasciare un compito perpetuo alla "Repubblica": "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese". Non è poesia e non è utopia: è la stella polare che dovrebbe guidarci tutti, anche se abbiamo programmi diversi per seguirla: rimuovere quegli ostacoli!”. Strettamente legato l’appello sulle festività civili, affinché non siano divisive e temo che su questo ne vedremo delle belle: “Le grandi nazioni, poi, dimostrano di essere tali anche riconoscendosi coralmente nelle festività civili, ritrovandosi affratellate attorno alle ricorrenze scolpite nel grande libro della storia patria. Perchè non dovrebbe essere così anche per il popolo italiano? Perché mai dovrebbero essere vissute come date "divisive", anziché con autentico spirito repubblicano, il 25 Aprile festa della Liberazione, il 1 Maggio festa del lavoro, il 2 Giugno festa della Repubblica? Anche su questo tema della piena condivisione delle feste nazionali, delle date che scandiscono un patto tra le generazioni, tra memoria e futuro, grande potrebbe essere il valore dell'esempio, di gesti nuovi e magari inattesi”. Poi un appello che non si può non condividere e suona come un nobile ammonimento: “Altro terreno sul quale è auspicabile il superamento degli steccati e l'assunzione di una comune responsabilità è quello della lotta contro la diffusione del linguaggio dell'odio, contro l'imbarbarimento del dibattito pubblico, contro la violenza dei pregiudizi e delle discriminazioni”. E ancora un passaggio istituzionale condivisibile: “Da molto tempo viene lamentata da più parti una deriva, una mortificazione del ruolo del potere legislativo a causa dell'abuso della decretazione d'urgenza e del ricorso al voto di fiducia. E le gravi emergenze che hanno caratterizzato gli ultimi anni non potevano che aggravare la tendenza”. Infine l’attualità: “Un impegno straordinario e urgentissimo per rispondere al grido di dolore che giunge da tante famiglie e da tante imprese che si dibattono sotto i colpi dell'inflazione e dell'eccezionale impennata dei costi dell'energia, che vedono un futuro nero, che temono che diseguaglianze e ingiustizie si dilatino ulteriormente anzichè ridursi. In questo senso avremo sempre al nostro fianco l'Unione Europea con i suoi valori e la concreta solidarietà di cui si è mostrata capace negli ultimi anni di grave crisi sanitaria e sociale. Non c'è un momento da perdere: dalle istituzioni democratiche deve venire il segnale chiaro che nessuno verrà lasciato solo, prima che la paura e la rabbia possano raggiungere i livelli di guardia e tracimare”. Applaudo.