Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
12 lug 2022

Chiudere le montagne?

di Luciano Caveri

Il destino della montagna è che nella grande informazione nazionale dei nostri territori e dei nostri problemi se ne parli solo a fronte di tragedie. Il caso della Marmolada conferma l'assunto. Si accendono i riflettori sulle alte cime e sul mondo che ci vive attorno e lo si fa spesso con l'atteggiamento superficiale di chi non ne conosce caratteristiche e peculiarità e guarda ai montanari con scarsa conoscenza e con vecchi pregiudizi. Per cui - banalità assoluta - la montagna diventa «assassina» e spuntano esperti - molti di campo ambientalista - che si mettono a concionare, snocciolando mille banalità, che mostrano il vuoto assoluto salgono sul proscenio a dispetto di chi certi argomenti li conosce da una vita.

Lo stesso premier Mario Draghi visita opportunamente le Dolomiti per la gravità dei fatti esprime poi nelle sue dichiarazioni l'idea di un centralismo che da Roma regoli la materia. Per fortuna le dichiarazioni dei presidenti del Veneto Luca Zaia e della Provincia autonoma di Trento Massimiliano Fedriga tengono botta, così come molti altri esponenti ed esperti del mondo della montagna che con serietà ricordano bene che la consapevolezza dei cambiamenti climatici sulle Alpi è chiaramente presente in noi autorità locali. Il caso valdostano è significativo con studi e approfondimenti di primissimo piano in Europa, anche se la ristrettezza delle risorse attuali non aiuta molto. Certo, a parte tanti "bla bla" romani, ci vorrebbero risorse in più sui territori anche attraverso quel ben noto "Pnrr", magari riflettendo sulla stortura di fiumi eccessivi di denaro verso il Sud, larga parte dei quali non saranno spesi entro la data limite del 2026 e saranno persi. Ma l'aspetto più degradante ruota attorno alle "cassandre" che si sono espresse dicendo due cose. La prima è che le montagne vanno chiuse. Tema già tirato fuori ogni volta che sono avvenute, già in passato, vicende luttuose di eguale gravità. Come se non si sapesse che la gran parte di chi sale in montagna conosce i rischi che ci sono e li accetta. Di conseguenza la logica proibizionista cozza contro la libertà di scelta e sbandierare le chiusure è banalizzazione di un tema serio: come aumentare il grado di sicurezza e di consapevolezza di non superare certe soglie per evitare i pericoli che valgono per gli alpinisti e anche per i soccorritori. Perciò si deve fare sempre meglio, ma già oggi, ad esempio i nostri ghiacciai, sono sorvegliati e studiati e non abbandonati dalla scienza che fa prevenzione e chi sceglie certi percorsi ha informazioni, ad esempio sul meteo o sul pericolo valanghe. molto circostanziate. Certo, il tema dell'accelerazione del riscaldamento globale obbliga tutti a migliorare le cose, ma dare l'impressione che i montanari siano tonti che non seguono l'evoluzione in corso e che gli amanti della montagna siano sconsiderati che giocano con la vita è una visione ingenerosa e sbagliata. Il secondo filone è il solito ambientalismo alla Mario Tozzi, il geologo ambientalista che straborda delle pagine del quotidiano "La Stampa" con i soliti discorsi stereotipati. Un catastrofismo che diventa a tratti offensivo, oltreché non informato. La tragedia della Marmolada scuote le coscienze e offre uno spaccato di Alpi che soffrono un cambiamento drammatico del clima. Ma a queste emergenze bisogna reagire con idee e progetti che politici e amministratori della montagna ben conoscono e non hanno bisogno di essere imbeccati, ma semmai aiutati e supportati, senza suggeritori che arrivino solo al momento del dramma e poi se ne vadano, dimenticando in fretta. Mentre noi qui ci viviamo, ci lavoriamo, conosciamo le nostre montagne e con l'angoscia sappiamo quanto di grave stia accadendo ed apprezziamo chi è solidale e cosciente che le nostre battaglie per contrastare il riscaldamento globale avvengono per fare in modo che la nostra terra continui ad essere abitata e frequentata da chi ama le nostre cime, che non possono essere sbarrate.