Vedi il caso. L'altro giorno ero in coda per fare gli esami del sangue a Châtillon, quando nell'attesa, con alcuni che aspettavano con me, ci siamo messi a parlare del passato del paese ed in particolare della "Montefibre". Oggi di quella fabbrica restano le palazzine adoperate come sede della "Fondazione turistica" ed il ricordo dell'importanza dello stabilimento è destinata a svaporare. Cito un pezzo di "Wikipedia": "La "Châtillon", o "Società anonima italiana per le fibre tessili artificiali SpA", è stata un'azienda italiana operante nel settore delle tecnofibre. Nel 1917, in piena prima guerra mondiale, fu fondata la "Soie de Châtillon" (in italiano, "Seta di Châtillon") con uno stabilimento nell'omonimo comune valdostano, più vicino alle centrali idroelettriche, in epoche in cui il trasporto di energia sulle lunghe distanze era ancora problematico. La produzione avviata fu quella della viscosa (poi rayon) che in quel momento era molto diffusa". La fabbrica passa a diverse società sino alla chiusura definitiva nel 1985 e ne ho un vago ricordo come giornalista.
Ma questa rievocazione era solo un pretesto per ricordare che nel 1931, in pieno sviluppo della produzione, nacque a Chátillon - se ricordo bene il papà era direttore della fabbrica - quel Furio Colombo, che conobbi poi da deputato. Un giornalista e scrittore di grande capacità con diverse esperienze professionali di alto livello sui giornali e anche nell'ambito "Fiat". Ora scopro con grande gioia che è ritornato a scrivere su "Repubblica", lasciando quel carrozzone del "Fatto Quotidiano", che è caposaldo grillino e ora filorusso. Credo una situazione in caduta libera per un atlantista e democratico come Colombo. Il suo primo editoriale merita una menzione, pensando alla scelta meritoria di sbattere la porta in faccia all'odioso Marco Travaglio. Così dice sull'Ucraina e sulla scelta putiniana che lo ha spinto a chiudere con il giornale di cui fu fra i fondatori: «La storia si può anche raccontare così. Il lupo all'improvviso abbatte la casetta dei tre porcellini. Era fatale che, una volta iniziata la frenesia della guerra, ci sarebbe stata gente disposta (c'è sempre nelle risse) a soffiare sul fuoco. La prima mossa è far credere che siamo in pochi, addirittura in pericolo, a vedere di buon occhio la guerra. Poi seguono sempre più prese di posizione, sondaggi imprevisti, dichiarazioni di presidenti di commissioni senatoriali, di giornalisti e accademici. Rivelano il putinismo (Putin è il nome casalingo del lupo, ma tutti si mostrano offesi se glielo dici, per poi ripetere subito dopo il verbo prescritto dal leader), mostrano che una buona parte di cittadini propendono per chi può darti pane e petrolio e poi trovano giusto che il nuovo capo se la veda per conto proprio con chi li ostacola. Perché allora il lupo aggiunge l'impegno gravissimo e - diresti - impossibile di spaccare il mondo, per essere sicuro di poter governare senza impedimenti e senza ostacoli? Il fatto è che è già accaduto. Hitler, mentre era già abbastanza forte, ma avrebbe dovuto capire che non era la forza del mondo, ha governato con ottusa determinazione verso la vetta del mondo, guidato solo della sua ossessione e trascinando i suoi soldati e i suoi alleati nella rovina. Bisogna dire che Hitler aveva più forza nervosa e militare di Putin, ma l'ossessione era altrettanto solitaria». Chiaro e senza peli sulla lingua: «Putin è scortato da compagni (molti, certamente in Italia) che vogliono da lui più forza, più spietatezza, cercano un uomo forte, non importa quanto intelligente. Diresti, a giudicare dalle scelte precedenti, che la ricerca è la stessa di Grillo. Quando annuncia, nomina, esalta e abbandona. Ma Grillo è uno che prevede la fine del mondo e poi lascia perdere tutto e torna a teatro. A questo punto i pacifisti si sono generosamente gettati nella mischia. Senza una mappa per orientarsi in una foresta piena di inganni. Sono riusciti a dire, e lasciar dire, che sono guerrafondai coloro che chiedono armi per portare in salvo i bambini e le loro mamme, vittime principali di una guerra organizzata principalmente per eliminare i cittadini, spargere il terrore e distaccare, nel tentativo di salvezza, i cittadini dal Paese e il governo a fare apparire ostinazione che porta morte la sua volontà di resistere. I pacifisti (certo non in Cecenia), hanno cominciato a dimostrare diffidenza per il presidente Zelensky, ostinato nel resistere e ostinato nel richiedere armi per difendere il suo Paese. La risposta è pace senza armi di fronte a uno dei più potenti Paesi del mondo che tiene il piede sul collo dell'Ucraina, e non ha nulla da promettere, solo occupazione e separazione di territori. All'Ucraina occupata dalla mattina del 24 febbraio viene offerta, con poca carità, questa frase che dovrebbe essere esemplare: "Solo la pace porta pace, la guerra porta guerra". Come certi indovinelli, la frase è un inganno. Entrambe le affermazioni sono vere, ma sconnesse. La pace porta pace se non c'è guerra. Ma se lo spazio è occupato dalla guerra, la pace non può entrare. Allora ti dicono: "Negoziati". Ottima idea se c'è un negoziatore. E poiché il negoziatore non c'è e non può esserci, meglio avere le armi per proteggere i bambini in fuga. Ma questi sono gli intoppi da cui, a meno di un fallimento sul campo, una grande potenza non si lascia fermare. Questa grande potenza, la Russia di Putin, ha un suo progetto di spaccare il mondo, altrimenti la pace (e il ridimensionamento della grande Russia) diventerebbero davvero possibili. Non sta vincendo la Russia, ma sta con i piedi piantati nel fango ucraino. E due cose gli sono riuscite: far credere a molti che tutto è accaduto in Ucraina per colpa e responsabilità degli Stati Uniti e di una banda di malfattori e tagliagole noti come la Nato che hanno provocato la brava gente di Mosca. E che solo mettendo fuori gioco l'America e la banda Nato, il mondo filorusso scortato da una folla di bravi simpatizzanti (un bel po' italiani, ma guai a dirglielo) ritroverà un rassicurante equilibrio». Evviva Furio Colombo, abbasso i putiniani!