Durante la recente "Foire de Saint-Ours", nella sua inusuale versione primaverile a causa della pandemia, ho percorso con viva curiosità il cosiddetto padiglione enogastronomico in piazza Plouves nel cuore della città. Facile osservare come gli spazi si stiano allargando ogni anno. Ho pensato d'improvviso proprio al lungo percorso di valorizzazione dei prodotti locali, un mio pallino da sempre. Mi sono destreggiato spesso nel cercare di catalogare, almeno per me, certe sottigliezze nel vasto campo di interesse che è occupato dalle due dizioni, "prodotto tradizionale" e "prodotto tipico". Non ne sono mai uscito del tutto e penso che alla fine quel che conta è avere produzioni locali di qualità nel solco del passato, sapendo bene le enormi contaminazioni che nel settore alimentare si innescano nel flusso dei secoli.
Un'invenzione diventa "tradizionale" e/o "tipica", sostituendosi a qualcosa che lo era e che decade per suo esaurimento. Una specie di catena che attraversa il tempo e che asseconda non solo i gusti locali, ma diventa un fiore all'occhiello a vantaggio del turismo e, quando ci si riesce, dell'esportazione. Lascio questo terreno di discussione e ripiombo nella realtà e cioè nella soddisfazione del fatto che agricoltori, allevatori, viticoltori e trasformatori di diverso genere della nostra Valle si ingegnano sempre più nel proporre prodotti del territorio, assecondati da chi - ad esempio tanti chef e sommelier - li sa valorizzare con intelligenza. Oggi lo chef più innovatore è a Courmayeur Paolo Griffa nel solco del lavoro decennale con prodotti valdostani di Agostino Buillas di Morgex. Mi vengono su questo due flash. Uno è frutto della memoria e mi permette di evocare qui un amico scomparso in queste ore: Dino Darensod. Partendo dalla sua Aymavilles, è stato impagabile aedo e cantore dei prodotti valdostani. L'ho visto in azione tante volte nel mescere i nostri vini, nel tagliare formaggi e salumi, nel proporre pietanze a un pubblico il più vario, esaltandone storia e percorso con un'affabulazione schietta e convincente. E' stato in questo un impagabile ambasciatore, giustamente decorato come "Chevalier de l'Autonomie", per questo suo lavoro. La trasferta più bella assieme fu in una visita politica e commerciale in Cechia nella Regione di Liberec, zona come la nostra Cogne di grandi piste di fondo. Ricordo in questa occasione un altro grande in questo mestiere, Alberto Capietto, morto troppo giovane, che animò impagabili feste natalizie a Bruxelles, raccontando con una favella senza eguali le bontà valdostane. Il secondo flash e di qualche giorno fa all'École hôtelière di Châtillon, che per anni fu nelle mani di quel formatore e ambasciatore della Valle senza eguali che fu Filippo Rigois, con un gruppo di studenti vallesani del settore che hanno imparato come incrociare vini valdostani con i formaggi di produzione locale. Un momento di beatitudine per le papille gustative con quel politico vallesano, ami de la Vallée d'Aoste, che è Christophe Darbellay, che ha esaltato di fronte ai ragazzi il savoir faire valdostano nel valorizzare le proprie eccellenze enogastronomiche. D'altra parte come non ricordare proprio un vallesano, il Canonico del Gran San Bernardo, Joseph Vaudan, direttore dell'attuale Institut Agricole Régional, che ha inciso in profondità nel miglioramento della nostra viticoltura. Ricordo infine, sull'onda della memoria, quel Rinaldo Bertolin, enfant du pays di Arnad, cui si deve - come esempio concreto - la valorizzazione di un prodotto povero come il Lard d'Arnad, diventato "Dop" grazie a trascinatori del... gusto come lui, prematuramente scomparso. Per fortuna la strada ormai é tracciata e ogni anno tra passato e presente ci sono proposte vecchie e nuove che servono a tenere viva e a rinnovare quel settore enogastronomico di qualità, che è una grande chance per la Valle d'Aosta.