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12 apr 2022

Le delicate elezioni francesi

di Luciano Caveri

Amo la Francia. Certo questo attiene alla francofonia, ma quello è un mondo più vasto dell'Exagone. Amo la Francia per la sua gente - insieme di un mélange interessante, lingue minoritarie comprese - la sua vasta cultura, il suo territorio così vario, lo spirito cartesiano e… la baguette. Ho tante amicizie, un mare di ricordi, pezzi di vita vissuta. Ecco perché trattengo il respiro per le elezioni presidenziali di domani, frutto delle regole della Quinta Repubblica. Si sa già, tuttavia, che il vero appuntamento decisivo sarà per il 24 aprile, quando ci sarà il ballottaggio. E ora su questo più che sul resto si accende la curiosità.

Scorro con rapidità ed a casaccio i candidati in lizza, lasciando perdere i cespugli, ma venendo al sodo dei candidati comunque più significativi. Grande delusione per i socialisti con la sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, che è bassa nei sondaggi, così come la candidata della destra e del centro Valerie Pécresse, che si è rivelata incapace di emergere con una campagna elettorale grottesca. Ci sono i due opposti estremismi: alla destra più scura quel personaggio bizzarro che è Erik Zemour, cui ha fatto da contraltare all'estrema sinistra il solito Jean-Luc Mélanchon. Li accomunano populismo e demagogia. Si stagliano per il ballottaggio il Presidente uscente, Emmanuel Macron, che a me piace per la chiara scelta europeista e per l'evidente allure da leader, anche se in molti speravano di più dal suo piglio iniziale. Come competitor con il suo "Rassemblement national" ci sarà assai probabilmente a fine mese Marine Le Pen, che a me non è mai piaciuta. La sua vittoria sarebbe un disastro per la Francia e per l'Europa. Il clima generale è strano, così come descritto in poche righe da Jean-Claude Coutausse su "Le Monde": «Drôle de campagne présidentielle, dont l'inanité apparente cache des crispations profondes. Depuis l'apparition de l'épidémie de covid-19, en mars 2020, la vie politique française semble prise dans un brouillard; peut-être était-il arrivé avec la victoire d'Emmanuel Macron, en 2017. Toujours est-il que le principal rendez-vous démocratique du pays n'intéresse pas. Le niveau record d'abstention enregistré en 2002 (28,4 pour cent), élection marquée par le coup de tonnerre de la qualification de Jean-Marie Le Pen au second tour, pourrait à nouveau être atteint, préviennent les enquêtes d'opinion. "Inquiétude", "incertitude" et "fatigue": voilà les trois premiers sentiments exprimés par les Français quand les instituts de sondages les interrogent sur leur état d'esprit. Or, "quand tu es fatigué, tu veux partir en vacances, pas t'occuper de politique", reconnaît un ancien conseiller du pouvoir. " Il y a un problème de demande, pas d'offre"». Questo sta diventando un problema serio. Tutti a parlare dei rischi per la democrazia e dei fantasmi che si agitano in Europa. Tanti a rimarcare come l'effetto Ucraina ponga la necessità di difendere gli elementi forti delle Istituzioni occidentali. In molti a ribadire le tante incertezze e le molte paure che ci obbligano a fare fra democratici una sorta di falange macedone. E poi, al momento del voto, sparisce sempre di più una percentuale di votanti, che mostra la disaffezione ed è dimostrazione dell'abisso fra le parole e i fatti. Per questo, pur con gli errori fatti e certe inadeguatezze, mi affido alla speranza che Macron vinca. Perché è un uomo di cultura, conosce e applica le regole democratiche, ha quel soffio europeista che è necessario, resta una figura di spicco che in altri Paesi manca. La Le Pen è una volpona della politica, che non può nascondere il suo nazionalismo nero e un approccio distruttivo. Ma a decidere saranno i francesi e comunque vada vale l'ammonimento di Alain: «La démocratie n'est pas dans l'origine populaire du pouvoir, elle est dans son contrôle. La démocratie, c'est l'exercice du contrôle des gouvernés sur les gouvernants. Non pas une fois tous les cinq ans, ni tous les ans, mais tous les jours».