La lettura dei giornali cartacei, fosse anche nella comoda versione digitale che personalmente uso all'alba, diventa sempre meno legata alla notizia nuda e cruda. Quella arriva più in fretta con i media che seguono l'attualità minuto per minuto e ce la restituiscono nella loro immediatezza. Ma il giornale ci torna su con la forza della scrittura e soprattutto con la logica del commento, che offre comprensione dei fatti e ricostruzioni che stimolano il ragionamento. Sta a noi, immagazzinati idee e pensieri, fare la sintesi e formarci un'opinione. Ci pensavo mettendo assieme due articoli poco distanti, che derivano dalla più pacata lettura domenicale del "Corriere", cominciando con Beppe Severgnini, che osserva un fenomeno in corso: «Sta salendo rapidamente il numero degli italiani convinti che il rischio sia diventato troppo grande: meglio finirla qui, lasciamo che Vladimir Putin si dichiari vincitore, e aiutiamo a ricostruire quel che resta dell'Ucraina».
Più avanti esplicita: «Gli aderenti sono diversi dai rigurgiti della sinistra comunista e dai virgulti della destra autoritaria, oggi ideologicamente alleati. Costoro tendono a equiparare aggressore e aggredito, dividono le colpe fra la Russia di Putin e la "Nato", detestano l'America e diffidano dell'Unione Europea. Ma costituiscono una minoranza (rumorosa), condannata a restare tale: la drammatica evidenza ucraina è più forte di certe sciocchezze nostrane. Il nuovo partito degli italiani preoccupati è più vasto, più forte e più ragionevole. Sa benissimo che questa guerra turpe è stata voluta da un regime. Ma si domanda, davanti alle difficoltà dell'avanzata russa: se Vladimir Putin non ottenesse ciò che vuole, come reagirà? Forse è meglio concedergli una vittoria parziale, e sperare che si acquieti. I nuovi italiani preoccupati sanno cosa significa questo per una parte dell'Ucraina e i suoi abitanti: ma preferiscono non pensarci. La preoccupazione è un sentimento sofisticato. Sa come conquistarci, mescolando timori diversi: tagli alle forniture di gas, crisi economica, ondate di profughi. Ma, più di tutto, il terrore di una guerra nucleare: mai avrei immaginato di annusarlo, per la prima volta in vita mia, nei giorni in cui diventavo nonno. La bomba atomica è una sorta di non-detto che accompagna ogni sospiro, si nasconde dietro ogni conversazione, condiziona ogni ragionamento: in Italia, in Europa e in America. Ma noi siamo più vicini alle zone del conflitto, e meno abituati di altri a soffrire per un principio. Siamo gente realista, al limite del cinismo, e nel realismo cerchiamo una soluzione. Darla vinta a Putin, però, potrebbe essere la soluzione sbagliata. Rischiamo infatti di rimandare il dramma, e prepararne uno più grande». Dall'altra parte del paginone del giornale svetta un elzeviro di Giancristiano Desiderio di cui trascrivo una parte: «L'Europa alla fine dell'inverno della pandemia e all'inizio della primavera di bombe russe e resistenza ucraina è uscita dal sonno della ragione che si era auto-imposta e, ancora una volta, ha scoperto che la libertà non è né un frutto della natura, come le more e le bacche, né un dono che cade dal cielo, come la manna biblica, ma una continua conquista del lavoro umano che non può mai permettersi di disarmare sé stesso nello spirito e nella forza. Così se Simone Weil amava dire che al mondo non c'è altra forza che la forza, la cultura occidentale - da Washington a Londra, da Parigi a Berlino, da Milano a Napoli - può dire che al mondo tutto è lotta e la stessa libertà è lottante: come si conquista così si può perdere. Altro non si può fare, dunque, che difenderla vita natural durante. La libertà, infatti, non è uno dei nostri valori ma la condizione senza la quale i valori occidentali non ci sarebbero: non c'è pace senza libertà, non c'è giustizia senza libertà, non c'è uguaglianza senza libertà, non c'è sicurezza senza libertà. La libertà è la civiltà dell'Occidente. Non dobbiamo aver paura di essere all'altezza di questa storia. Persino la verità se la passa male senza libertà. Perché anche se il Vangelo afferma che la verità vi farà liberi, è ancor più vero che la libertà ci fa veri. La libertà è la dignità dell'umanità che per vivere civilmente deve lavorare sé stessa. La libertà liberatrice, cara a Adolfo Omodeo, è nel fondo del cuore della resistenza dell'Ucraina». Da utilizzare - anche con questo ultimo ricordo di uno degli esponenti del Partito d'Azione - contro chi dice con scellerata sicumera: che gli ucraini si arrendano!