Non seguo il calcio e non per snobismo, ma perché l'insieme di interessi che lo circonda di questi tempi non mi piace. Naturalmente mi può capitare di guardare una partita e l'occasione è sempre piacevole, ma questa resta un'eccezione. Ho concepito una specie di sciopero di cui ovviamente non importa a nessuno cui mi sono assuefatto. Come tutti i ragazzini, all'età dovuta, ho avuto la passione delle figurine e avevo la collezione della "Panini", prima occasione nello scambio con gli amici della difficile arte del baratto. All'epoca ascoltavo "Tutto il calcio minuto per minuto" alla radio (il mito era Sandro Ciotti, che ebbi poi l'occasione di conoscere bene) per seguire la Juventus, e un po' più grandicello "Novantesimo minuto" alla televisione con quei telecronisti imperdibili dalle parlate dialettali (il napoletano Luigi Necco era imperdibile) a seconda delle città collegate.
Poi certi scandali calcistici con partite truccate e soprattutto il crescere di un mondo impazzito nelle mani di procuratori che fanno e disfano con calciatori che mettono in tasca cifre folli mi hanno allontanato. Meglio che certe cose non siano state viste nel loro degrado da maestri di giornalismo che scrivevano di calcio, come il grande Giovanni Arpino o l'ineguagliabile Giuanin Brera, che con la loro prosa nobilitavano i giornali, creando una sorta di epica. Confesso, però, che i Mondiali mi hanno sempre fatto simpatia. Non che sia tutto rose e fiori, intendiamoci. Che i Mondiali di quest'anno siano in Qatar - per capirci - è storiaccia, fatta di continui sospetti di corruzione, manovre politiche di altissimo livello, presidenti ed alti dirigenti calcistici coinvolti, di terribile mortalità nei cantieri degli stadi. Persino "Amnesty International" ha scritto alla "Fifa", l'autorità calcistica mondiale, per segnalare lo sfruttamento dei lavoratori immigrati. Ha osservato Giulio Zoppello sul sito "Esquire", per ricordare il passato: «"Qatar 2022" non sarà diverso dalle Olimpiadi di Pechino 2008, Messico '68, Berlino '36, dal pallone rotolato ad Argentina '78, Cile '62 o in Italia nel '34: uno spot per un regime tirannico e sanguinario, che flette i muscoli per zittire il dissenso, ma soprattutto di usare come cartina di tornasole il pallone per cucire altri rapporti economici con i colossi del resto del mondo». Questo è il lato oscuro dello sport, che si piega anche a regimi che usano lo sport per la propaganda interna. Recente caso le ridicole Olimpiadi invernali di Pechino senza montagne. Ma l'aspetto peggiore, tornando al calcio, sta nel fatto che la sconfitta dell'Italia, fuori dal Mondiale per la seconda volta consecutiva, sembra non aver scalfito un mondo dorato ed autoreferenziale. "Dorato" si fa per dire naturalmente, perché la situazione finanziaria del calcio italiano è al collasso. Così come anche in questo caso si scopre la banalità: la logica dell'interscambio dei calciatori, sulla base della libera circolazione delle persone e dei lavoratori, ha creato squadre di calcio italiane tipo "Legione straniera", chiudendo le porte ai giocatori italiani ed impoverendo di fatto la Nazionale azzurra. Forse ci voleva qualche limite ragionevole, ma ci si è nascosto dietro al diritto europeo. Il peggio per me è la grottesca santificazione dell'allenatore dell'Italia Roberto Mancini, rimasto al suo posto. Le dimissioni, dopo questa débâcle, sarebbero state il minimo sindacale ed invece la ricostruzione tocca a lui. Strana storia nell'Italia che sembra non perdonare mai e che invece in questo caso ha scelto la strada del perdonismo, malgrado lo schiaffo collettivo al Belpaese senza azzurri al Mondiale.