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06 feb 2022

Inossidabile Sanremo

di Luciano Caveri

Parlare del "Festival di Sanremo" mi colpisce nella memoria. Amo la Riviera dei Fiori con una mamma imperiese e con Sanremo oggetto di serate indimenticabili da ragazzo. In più - e questo conta molto - Sanremo è stata una colonna musicale della mia vita. Anzi, l'evidenza sta nel fatto che un tempo le canzoni duravano di più, non essendoci questo turnover clamoroso di oggi che brucia talenti e lo dimostra il fatto che cantanti ormai settantenni, di cui ho visto svilupparsi la carriera dai dischi 45 giri in poi, sono ancora lì a dominare la scena, mentre le cosiddette "nuove promesse" spesso sfilano e spariscono. Esemplare - apro una parentesi - è stato, sbirciando come d'obbligo la prima serata dell'edizione di quest'anno, un Gianni Morandi inossidabile, che tra l'altro sa anche cantare e non è così banale in certi caravanserragli.

Ma torniamo alla mia educazione sentimentale attraverso le canzonette. Negli anni Sessanta ero un bambino e la televisione diventò la nostra ipnosi sino a "Carosello", perché dopo i siparietti pubblicitari si filava a nanna. Ma la diretta da Sanremo consentiva almeno un'eccezione e, nel bianco e nero del televisore di allora, spuntavano le hit che ci avrebbero accompagnato, cantate attraverso appositi libretti con i testi. In gita scolastica sul pullman tutti a cantare a squarciagola e non proni sui telefonini. Negli anni Settanta ed Ottanta fra adolescenza e giovinezza, Sanremo era la lenta scoperta della libertà, conquistata anche nelle serate indimenticabili - in genere nel finesettimana del Festival a febbraio con gli amici in montagna - in cui si celebrava in compagnia un rito degno degli attuali "social". Era la sagra della battuta e della presa in giro: lo spettacolo serviva per i commenti, analoghi a quelli che talvolta posto su "Twitter", ma con ben diversa convivialità.
Negli anni Novanta, già ormai provato dalla vita adulta, si è analogamente vissuto di momenti divertenti con amici e anche con i figli a cavallo ormai con la fine secolo. Nel 1995 finii sul palco a Sanremo con altri parlamentari a cantare in playback una canzone che fu un flop, realmente registrata a Roma fra rose e lazzi. In questo nuovo Millennio, che ha già ha cominciato gli anni Venti sotto una cattiva stella pandemica, Sanremo si dimostra vivo e vegeto, anche grazie ad una popolazione che invecchia e a modelli musicali che tornano, tipo i "Måneskin" che riprendono serenamente il passato e sembrano nuovissimi. Ma come mai ancora in queste ore Sanremo catalizza gli ascolti televisivi? E' un mix di sentimenti. In un Paese che invecchia esiste di certo un effetto nostalgia, per cui Sanremo è elemento rassicurante che scalda il cuore come una cosa cara e ripetitiva. Esiste secondo me un effetto simpatia che si trasmette di generazione in generazione, per cui è vero che Sanremo - diventando un contenitore che mette assieme tutto e il suo contrario - copre tutte le età e non solo per il pettegolio gioioso che ne deriva. Alla fine il cocktail diventa vincente, anche se criticato e persino deriso. Non mancherò, insomma, anche quest'anno e ha ragione Domenico De Masi: «Sanremo. Una mousse cucinata da Liala più che da Proust, farcita di taralli più che di petites madeleines, ma una mousse che, anche sotto migliaia di riflettori, resta tuttavia crepuscolare e anche durante le incursioni di rap e di punk sa sempre di mamme che un bimbo "si stringono al cor", di zia Carlotta e di nonna Speranza, di Guido Gozzano e delle sue buone cose di pessimo gusto: la signorina Felicita, gli amori ancillari, i fiori in cornice, gli acquarelli un po' scialbi, gli scrigni fatti di valve, gli oggetti col monito "salve"». O ancora brillantemente: «Nella sempiterna kermesse sanremese, di portata mondiale anche perché trasmessa ogni anno in eurovisione, non è la musica che mobilita le emozioni e le masse, né sono i testi delle canzoni, solo moderatamente alcolici, né le esibizioni dei singoli cantautori, dissacranti in dose pediatrica, né le scenografie color pastello come balere ma fosforescenti come discoteche, né i presentatori teneramente prevedibili nei volti, nei gesti, negli abiti e nelle battute, né gli ospiti tirati fuori per l'occasione dal pantheon del modernariato mondano. Sanremo è tutto questo messo insieme, in modo da fare sistema. Un sistema così incredibile che ogni volta sembra irripetibile e tuttavia annualmente si ripete con la stessa puntualità del santo Natale». San Remo - che poi in verità sarebbe San Romolo, diventato "Remo" per via del dialetto locale! - santifica la televisione.