Ha scritto Alberto Mingardi sul "Corriere della Sera": «Sessant'anni fa, il 30 ottobre 1961, ci lasciava Luigi Einaudi. E' una banalità ricordare che Einaudi giocò un ruolo cruciale nel situare la nascente Repubblica nel campo delle democrazie a economia di mercato. Einaudi era un economista "applicato", più interessato ai problemi empirici che alla teoria e un accademico eminente. Fu, in un certo senso, il maestro di tutta una generazione». Personalmente, ricordando l'amicizia dello stesso Einaudi con mio Séverin Caveri e la sua affezione verso la Valle d'Aosta dove transitò in fuga verso la Svizzera nel 1943, ho letto molto di quanto scrisse e trovo che nel suo pensiero liberalfederalista ci siano spunti che non invecchiano mai. Penso ad alcune sua frasi, che qui riporto disordinatamente: «L'esercizio attivo della libertà sta nella discussione fra persone diverse (...) nella coesistenza non priva di lotta e di contrasto, tuttavia sempre nei limiti di un civile confronto, svolto nell'alveo di principi formali condivisi».
E ancora: «Le leggi frettolose partoriscono nuove leggi intese ad emendare, a perfezionare; ma le nuove, essendo dettate dall'urgenza di rimediare a difetti proprii di quelle male studiate, sono inapplicabili, se non a costo di sotterfugi, e fa d'uopo perfezionarle ancora, sicché ben presto il tutto diventa un groviglio inestricabile, da cui nessuno cava più i piedi». Un altro passo fondamentale: «L'unità del paese non è data dai prefetti e dai provveditori agli studi e dagli intendenti di finanza e dai segretari comunali e dalle circolari ed istruzioni ed autorizzazioni romane. L'unità del paese è fatta dagli italiani. Dagli italiani, i quali imparino, a proprie spese, commettendo spropositi, a governarsi da sé. La vera costituente non si fa in una elezione plebiscitaria, a fin di guerra. Così si creano o si ricostituiscono le tirannie, siano esse di dittatori o di comitati di partiti. Chi vuole affidare il paese a qualche altro saltimbanco, lasci sopravvivere la macchina accentrata e faccia da questa e dai comitati eleggere una costituente. Chi vuole che gli italiani governino se stessi, faccia invece subito eleggere i consigli municipali, unico corpo rimasto in vita, almeno come aspirazione profondamente sentita da tutti i cittadini; e dia agli eletti il potere di amministrare liberamente; di far bene e farsi rinnovare il mandato, di far male e farsi lapidare». E' stato anche profetico europeista: «Noi riusciremo a salvarci dalla terza guerra mondiale solo se noi impugneremo per la salvezza e l'unificazione dell'Europa, invece della spada di Satana, la spada di Dio; e cioè, invece della idea della dominazione colla forza bruta, l'idea eterna dalla volontaria cooperazione per il bene comune». E poi: «Il suffragio popolare è un mito e su ciò credo che potremo essere tutti d'accordo; ma è un mito necessario ed il migliore che finora sia stato inventato». Lo stile è l'uomo: «Non le lotte o le discussioni devono impaurire, ma la concordia ignava e l'unanimità dei consensi». Mingardi segnala nel suo articolo un tema particolarmente interessante per ricordarlo: «Egli era convinto che l'economista dovesse parlar chiaro, scrivere in modo comprensibile ai più, aiutando le persone a familiarizzare con quel tanto di logica economica che è necessaria per essere elettori consapevoli. Einaudi biasimava che "come tutte le congreghe di iniziati, anche quella economica parla un linguaggio proprio, che allontana i laici". Per questo la stampa, il dibattito pubblico, svolgono un ruolo così importante: perché sono il momento nel quale le scoperte dell'economia possono incontrare la curiosità di chi economista non è. In un saggio del 1944 (appena ristampato nell'antologia curata da Alberto Giordano, "Luigi Einaudi e la politica", IBL Libri, 2021), egli ammonisce che guai che si radichi "l'idea nefasta, trista eredità del Ventennio, che ci sia qualcuno incaricato di opinare, di vegliare, di decidere per conto nostro". Il buon divulgatore d'economia è dunque, in un certo senso, l'ostetrica di una opinione assieme autonoma e informata. Questo non significa che l'economista debba essere un tecnico "neutrale". Anzi è un uomo "intero", con le sue passioni e i suoi giudizi, prenda pure partito "per quello trai fini, al quale si trova più vicino ma lo faccia apertamente". L'appartenenza non gli faccia velo, però, rispetto alla più fondamentale verità della sua scienza. Egli deve "ricordare all'uomo politico che scegliere bisogna; e che nessun giudizio sulla convenienza di far qualcosa, di spendere il denaro pubblico per un dato fine può mai essere un giudizio assoluto; ma è sempre un giudizio comparativo; e che in ogni dato momento, posti i mezzi in quel momento esistenti, un voto positivo a favore di un capitolo di qualsiasi bilancio pubblico o privato vuole necessariamente, per definizione, dire un voto negativo contro un altro capitolo"». Scegliere: questo è il punto, ma con costante occhio agli equilibri di bilancio, oggetto in questi giorni di attenzione per chiunque faccia politica ed assieme amministrazione!