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10 set 2021

Quel che non sopporto più

di Luciano Caveri

Occuparsi della Cosa Pubblica è un onore. Lo faccio da molti anni e in diversi ruoli, prendendo sul serio l'attività politica. Posso dire di avere dedicato a questo gran parte della mia vita. Credo di avere imparato da questa lunga esperienza un fatto fondamentale: anche in politica, come in tutto, esistono due categorie, pur con sfumature intermedie. Da una parte ci sono i "costruttori" e dall'altra i "distruttori". Pare rozzo dirlo ma è così. Questa seconda categoria è fatta da chi gioca sempre di rimessa. Privi di idee e di progettualità, passano il tempo a perdere tempo, usando l'arma, pur legittima se equilibrata, della critica e della polemica come unico scopo della loro attività. E' un'attitudine patologica e in fondo inutile, che fa perdere tempo ed energie e finisce per essere un comportamento fine a sé stesso, che nulla ha a che fare con la sana dialettica politica, che è confronto serio e costruttivo che mira a fare meglio.

Ormai certi personaggi o certe organizzazioni che fanno di questo metodo un sistema li snaso a distanza. Usano il dileggio, il partito preso, la distorsione della realtà con una straordinaria spontaneità, assai probabilmente per una ragione semplice: non sanno fare altro se non emettere veleni e rancori. Immagino che sia frutto di frustrazioni e pochezza, che possono non essere caratteristica di singoli, ma cementare gruppi, quando si ritrovano, innalzando sempre bandiere ideologiche che li isolano dalla realtà. Eppure sbraitano, appaiono, puntualizzano con ripetitività e quel birignao di chi la sa lunga ed in tasca ha solo verità e una vis polemica sempre accesa e noiosa, infine improduttiva e talvolta dannosa, perché nient'altro che zizzania. Niente di nuovo, purtroppo. Tanti anni fa sul mio amato e ormai scomparso "Le Peuple Valdôtain" parlavo a dimostrazione che certi temi tornano di un'altra categoria parallela, direi gattopardesca, i fautori del «tutto cambia, perché nulla cambi». Dicevo su certa fatica in politica: «La fatigue vient plutôt des terribles résistances aux changements, qui rendent chaque chose plus difficile, et une promenade se transforme en course à obstacle. Chaque intention réformatrice risque de naufrager face aux attitudes conservatrices et aux conduites habitudinaires de ceux qui vivent aisément dans des situations rangées. Ceux qui veulent innover doivent subir la résistances actives et passives qui dilatent les temps décisionnels, et qui voudraient éviter, préalablement, chaque changement. Le scénario est ultériorement aggravé par l'affaiblissement du sens de responsabilité et du sens d'appartenence. Ces deux sentiments, qui suscitent cohésion, sont désormais une denrée rare dans un monde absorbé par le particulare, par l'intéret circonscrit, par une logique coroporative-syndicale qui oeuvre tenacement à la défense des droits, mais qui parait timide et réticente face au chapitre des devoirs. C'est ainsi que le mot devoir, ou encore pire, obligation, sont désormais devenus gros-mots et tous ceux qui ont le courage de les utiliser ent public sont tachés de passéisme. Le décideur se rend alors antipathique, parce qu'il voudrait troubler les équilibres révolus, des niches de bénéfices, des comportements anachroniques». Bisogna ribellarsi agli uni e agli altri, che talvolta purtroppo coincidono e liberarsi di chi nella vita pubblica decide di essere zavorra, usando l'arma più potente in democrazia: l'indifferenza.