Se parlo di televisione mi vengono in mente la canzone irriverente di Enzo Jannacci, «La televisiun la g'ha na forsa de leun, la televisiun la g'ha paura de nisun, la televisiun la t'endormenta cume un cuiun», o il famoso aneddoto raccontato da Romolo Valli, protagonista di "Eduardo De Filippo e la televisione". I due attori erano a pranzo a casa De Filippo, quando squillò il telefono: «Pronto, casa di Filippo? Qui è la tivù». Eduardo chiese allora chi fosse al telefono, e dall'altra parte del filo ripeterono: «La televisione». Allora, mentre le rughe che gli percorrevano il volto si facevano più scure del solito, sbottò brusco: «…ed io so o' frigorifero». Entrambi danno il senso dell'irruzione per generazioni come la mia della televisione, che è lontana parente di quell'enormità di contenuti e di nuove tecnologie che hanno trasformato quei primi televisori della nostra infanzia con i soli canali di Stato in un aggeggio multimediale ormai collegato, per chi ce l'ha, con la fibra ottica. La televisione è stata anche il mio lavoro, assieme alla radio, sin da giovane. Uno strumento straordinario, che ho vissuto con infinita passione prima nel privato e poi alla "Rai".
Leggevo un pezzo per me evocativo di Pierluigi Battista su "Huffpost": «Una cosa buona dell'estate televisiva è il godimento serale di "Techetechetè", mentre una notizia cattiva dell'autunno televisivo è la fine del godimento serale di "Techetechetè". Una cosa cattiva della vecchiaia che incombe è che quello che c'era prima sembra sempre migliore di quello che c'è adesso e la nostalgia e la perdita della giovinezza fanno sembrare tutto più roseo, più bello, più apprezzabile. Però stavolta sono certo, e ogni sera me lo conferma, che la storia della televisione italiana sia costellata di frammenti preziosi che ora non ci sono più, che il patrimonio di bellezza, umorismo, talento artistico, passione giornalistica, genialità nelle trovate ironiche, qualità della scrittura abbia raggiunto vette che molto raramente possono trovare un corrispettivo oggi. Nostalgia? Elogio stanco del buon tempo antico? Forse, e del resto gli intellettuali dell'«era meglio prima» facevano gli schizzinosi con quella televisione che oggi consideriamo ammirevole e piena di cultura. Per cui, meglio andarci piano, il pregiudizio antimoderno si annida insidioso e subdolo dove meno te lo aspetti. Però spero che "Techetechetè" non finisca più». Che cosa sia "Techetechetè" credo che molti lo sappiano: una specie di zibaldone di vecchie immagini televisive, che mostrano la ricchezza degli archivi della "Rai" ed anche lo spessore documentaristico della accumulazione del tempo di una ricchezza infinita di materiali. Proprio sulla base del mio lavoro alla "Rai Valle d'Aosta" segnalo come questa memoria, fatta di servizi televisivi del telegiornale regionale e del ricco patrimonio di programmi, sia un insieme straordinario per la Valle d'Aosta. Peccato però che allo stato attuale, in assenza della digitalizzazione di questo materiale accumulatosi a partire dalla nascita della televisione regionale nel 1979, rischia di essere definitivamente compromesso per i problemi di obsolescenza delle registrazioni. Sarebbe un evento disastroso e mi auguro che i vertici della "Rai" ne abbiano coscienza e soprattutto agiscano. Altrimenti perderemmo un pezzo importante della nostra storia per disinteresse e sciatteria. Purtroppo già il patrimonio radiofonico della "Voix de La Vallée" e dei programmi radio degli anni successivi sono in parte stati dispersi e contenevano eventi, voci e racconti a partire dall'inizio degli anni Sessanta! Un vero peccato, forse mortale...