Era il 26 giugno del 2009 quando morì mio papà Sandro all'età di 86 anni. Capita ancora oggi che incontri qualcuno che lo ricorda: un veterinario sempre disponibile e molto capace, ma soprattutto un uomo che scherzava in ogni occasione e amava fare ridere, che fossero barzellette o battute fulminanti. Ora che ci penso - e mi rendo conto di avere ereditato questa vis comica come chiave di lettura in molte circostanze - gli sono grato. Da bambino questo suo umorismo, capace di canzonare tutti, talvolta di essere salace e spesso fustigatore mi metteva in apprensione. Del genere «e ora cosa dirà?». Adesso mi ritrovo nei suoi panni quando faccio lo stesso e ne capisco il senso più profondo: bisogna affrontare il mondo sempre con il sorriso, perché è un modo per sdrammatizzare, per creare simpatia, per stare meglio con sé stessi e con gli altri.
Per cui ho imparato a diffidare dei musoni, di chi le battute non le capisce o si offende, di chi al posto di vedere la vita con ottimismo indossa le lenti scure del pessimismo. Il che naturalmente non vuol dire essere ebeti ed usare un sorriso d'ordinanza, perché purtroppo nella vita - e anche mio papà li aveva subiti - ci sono momenti difficili e complicati. Ma, come si dice, vedere il bicchiere «mezzo pieno» e confidare che il peggio passerà è uno stato d'animo che aiuta e consola. Ho più volte riflettuto su un certo imbarbarimento dei rapporti umani e sul venir meno di molti collanti che rendevano migliori le comunità in cui viviamo. Sarà in parte una visione distorta, derivante dalla nostra capacità di dipingere il passato migliore di quello che era, ma esiste davvero un peggioramento nelle relazioni personali e nella società in generale. L'antidoto del sorriso rischia di essere meno praticato come momento di fraternità ed occasione per decomprimere momenti di tensione e di incomprensione. Perché ricordano la capacità di mio papà di far sorridere? Mi viene in mente una frase dello scrittore francese Marc Levy: «Se tutti lo facessero anche solo una volta al giorno, regalare un sorriso, immagina che incredibile contagio di buon umore si espanderebbe sulla terra». Eppure lo dovremmo avere imparato. Quando - per chi ha avuto la fortuna di vivere quei momenti - vostro figlio o un vostro nipote sorride per la prima volta nella culla è come un raggio di sole che bucherebbe qualunque nuvola. Lo steso il sorriso riconoscente di una persona anziana, che spezza così la difficoltà di una vita fattasi difficile. Fa sorridere - appunto! - ricordare quel caposaldo dell'educazione al maschile, quando qualche zio ti disse in vista dei primi appuntamenti: «Ricordati che la devi fare ridere!». Diceva Charlie Chaplin con il suo lunare "Charlot": «Attraverso l'umorismo noi vediamo in ciò che sembra razionale, l'irrazionale; in ciò che sembra importante, il non importante». Mi tornano in mente, come un flash dal passato, quando mio papà montava il proiettore e sul muro comparivano in 8 millimetri proprio le comiche di "Charlot" o i cartoni animati di Topolino. Era un pieno di allegria ed allora non sapevo ancora quanto ce ne sarebbe stato bisogno nella vita.