L'astensionismo monstre alle elezioni regionali e nei dipartimenti francesi sono l'ennesima dimostrazione di una stanchezza verso la democrazia e della democrazia stessa. Commenta così un attacco di un commento de "Le Figaro": «Ils sont les déçus, les indifférents, les consternés. La masse protéiforme et insaisissable des abstentionnistes. Ils étaient un sur deux aux régionales de 2015. Ce cortège, qui grossit d'année en année, rassemble aujourd'hui plus de deux Français sur trois. Les élections régionales et départementales ? Beaucoup disent qu'ils n'en ont pas entendu parler. D'autres conspuent une "mascarade". Et, après plus d'une année de restrictions sanitaires, certains ne veulent plus entendre parler de ce "devoir de citoyen"».
Su "Libération" scrive Alexandra Schwartzbrod: «Oui, l'ampleur de l'abstention est une tragédie, nous ne le dirons jamais assez. Voter est un droit obtenu de haute lutte et encore fragile en différentes zones du monde, il donne ce pouvoir incroyable de participer à la vie de la société, il est primordial de s'en servir. Ceci étant dit, au risque d'en choquer certains, le faible taux de participation enregistré dimanche traduit peut-être, au fond, une réaction assez saine des Français. Voter est une façon d'adhérer à un projet, d'exprimer un besoin, de manifester une envie». L'editorialista più avanti, dopo aver analizzato i dibattiti in corso In Francia, osserva: «Le pays a un besoin criant de débats de fond et non de batailles de boutiquiers, de projets d'avenir et non de rabâchage des mêmes rengaines (sécurité, immigration, islam). Si ce taux d'abstention se révèle être davantage un signal qu'un renoncement, alors oui, il marquera plus l'échec des favoris de la présidentielle que celui du processus démocratique». Roba, come si capisce, non solo francese. Questa storia di credere in qualcosa e sperare nel futuro risulta capitale. Mai come ore bisogna riempire troppi vuoti creati da una politica spesso litigiosa e pressapochista. Dell'astensionismo ne scrivo da molto tempo, perché ormai è stata ampiamente superata, anche nella piccola Valle d'Aosta, la soglia di normalità del fenomeno e dunque vale la pena di interrogarsi sempre di più su di un fenomeno ormai storicizzato, cui non bisogna assuefarsi. Al capezzale della grande malata, la democrazia, accorrono in tanti. Personalmente penso che ad aumentare la scelta di disertare le urne ci sia anche la pandemia come causa diretta di un'ulteriore spinta al ribasso. Questa stanchezza della politica deriva dalla sgradevole scoperta di una politica regolarmente sorpassata da decisioni "scientifiche", che sono diventate politiche con ampie e non sempre giustificate privazioni della libertà personale e con meccanismi non sempre condivisibili che hanno messo in ginocchio settori economici. Ha scritto, anni fa, sul suffragio universale il costituzionalista Michele Ainis: «La Carta del 1947 disegna il voto come un diritto, ma altresì come un "dovere civico" (articolo 48). In altri tempi non era solo, come oggi, una sorta di dovere morale (e dunque soggettivo e discrezionale), perché i cittadini non votanti per le elezioni delle Camere, venivano sanzionati (dpr n. 361 del 30 marzo 1957). Diceva l'articolo 4: "L'esercizio del voto è un obbligo al quale nessun cittadino può sottrarsi senza venir meno ad un suo preciso dovere verso il Paese". Ma c'era ben di più all'articolo 115: "L'elettore che non abbia esercitato il diritto di voto, deve darne giustificazione al sindaco. L'elenco di coloro che si astengono dal voto senza giustificato motivo è esposto per la durata di un mese nell'albo comunale. Per il periodo di cinque anni la menzione "non ha votato" è iscritta nei certificati di buona condotta"». Naturalmente sappiamo tutti benissimo che la sanzione per coloro che non vanno a votare non è più in vigore. La norma è stata abrogata nel 1993. Giusto che così fosse, ma oggi - potenza delle norme in parte grottesche della privacy - chi non partecipa al voto non è identificabile e mi spiace che ciò sia possibile, perché sarebbe interessante per chi fa politica poter interloquire con chi sceglie di disertare le urne, per capirne le motivazioni e comprendere quale sia la forza di questo partito crescente dei "non votanti". A questo proposito scriveva, anni fa, sul "Corriere della Sera" il giornalista Marco Cianca: «Il distacco è in realtà senza confini politici, invade tutte le aree sociali. Apatici, rancorosi, indifferenti, indignati, disgustati, delusi, cinici, nichilisti, nostalgici, paurosi, apocalittici, idealisti, disperati, attendisti, insofferenti. L'astensione ha mille volti, è un moto dell'animo. Non esiste, non può esistere, un partito dell'astensione. Troppo diverse le motivazioni, le idee, le culture, gli obiettivi. Ma il filo comune del rifiuto dell'attuale politica rischia di trasformarsi in un cappio che strangola le libere elezioni». Io mi rifaccio ad Adriano Olivetti, imprenditore illuminato ed utopista, già nel 1949, teorizzando le Comunità, metteva in guardia dalla crisi del parlamentarismo: «Il mandato politico, nella sua vera essenza, è soltanto un atto di fiducia degli uomini in un altro uomo. Quando la fiducia non c'è, la democrazia muore».