Lo scrittore Maurizio Maggiani su "La Repubblica" ha interpretato in modo magistrale la mia medesima reazione alla notizia del gruppo di parlamentari della Sinistra che propone una leggina che renda obbligatorio cantare "Bella ciao" ogni volta che, il 25 aprile festa della Liberazione, si esegue l'Inno di Mameli, il brutto inno nazionale italiano. Maggiani è tranchant: «Vi prego, vi supplico e vi imploro, la mia testa sotto i vostri piedi onorevoli Fragomeli, Verini, Boldrini e Fiano, Stumpo, Anzaldi e Sarli, distogliete lo sguardo, obnubilate il pensiero e ritraete le vostre mani, manine, manone, da "Bella ciao". Non vi chiedo che un gesto di generosità, cos'altro posso fare per voi oltre a umiliarmi e annichilirmi, ditelo e lo farò, ma lasciatemi questa musichetta, questa piccola, romantica, dolcissima canzone. Insomma, via le mani da lì. Avete il potere di fare e disfare e dunque disfate; se non vi piace farlo alla luce del sole, fate con il favore delle tenebre, aprite il cassetto giusto e sfilate via la proposta di legge 3035».
Più avanti ironizza: «Avocati, cooptati al potere istituzionale, disciplinati frequentatori delle cerimonie addette, le meste celebrazioni nelle piazze svuotate di anime e persino di suoni viventi, avete volpinamente escogitato di cooptare, avocare a voi, l'unica cosa che ancora vive. Per farne che? Quello che la sinistra, quell'ineffabile, fantasmatico resto mortale che voi egregiamente rappresentate dagli alti scanni della Repubblica, ha fatto di tutto ciò che ha toccato e avocato a sé di espressione di popolo, di valore fondante, di liberazione; gli avete succhiato la sostanza, lo avete svuotato e diseccato. Se posso permettermi, il vostro è il lavoro del vampiro, dissanguatori di ideali, di memorie, di nobiltà. Esangui imbelli al cospetto della storia e delle battaglie che impone, questo potere vi è rimasto intatto, tutto quello che toccate si dissolve in noncurante rito, in vuoto ablare». La chiusura è feroce: «E no, "Bella ciao" non è un'istituzione e non è per niente adatta a diventarlo, non è che un'idea, un pensiero dentro una canzonetta che, semmai, ci piace cantare in faccia alle istituzioni, da Hong Kong a Città del Capo, ad Atlanta, o nel cuore della Banca centrale di Spagna. Non è nemmeno comunista, come biascicano gli analfabeti; in effetti non è nemmeno un granché partigiana, i partigiani, gli uomini e le donne combattenti, nella battaglia avevano bisogno di cantare qualcosa di più forte, non amavano pensare di farsi seppellire "sotto un bel fior", ma, nell'infausto caso, di promettere dura vendetta sarà del partigian. Ma infine vi chiedo scusa, perché non dovrei avercela con voi, lo so che siete brave persone di candidi intenti, ma con me, che, neghittoso e sbadato e nonvolente, ho rinunciato alla santa battaglia per un nuovo e pertinente e orecchiabile inno nazionale. "Volare, oh oh, cantare, oh oh oh oh"». Ne scrissi anch'io, tempo fa e ricordai che quando si parla di notizie false, che finiscono per diventare patrimonio comune, c'è una storia istruttiva per chi, come me, conosce dai tempi della scuola la famosa canzone, vendutami come "canzone partigiana": «si tratta di "Bella ciao", ripresa ancora di recente da molti gruppi e assurta nella classifica dei brani più venduti, prima in Spagna come colonna sonora di una serie di "Netfix", "La Carta di carta", e poi in Francia, sempre nelle hit, grazie ad una riproposizione del brano con Naestro, Maitre Gims, Slimane, Vitaa e Dadju, delle star Oltralpe. Ma "Bella Ciao" è stata cantata in diverse occasione da folle in protesta, come dagli indipendentisti catalani a Barcellona e persino dai membri progressisti dell'attuale Commissione europea». Ma una bella inchiesta pubblicata a suo tempo da Luigi Morrone sul "Corriere della Sera" raffreddò gli animi sull'origine del brano e della celebre musica: «Gianpaolo Pansa: "Bella ciao. E' una canzone che non è mai stata dei partigiani, come molti credono, però molto popolare". Giorgio Bocca: "Bella ciao... canzone della Resistenza e Giovinezza... canzone del ventennio fascista... Né l'una né l'altra nate dai partigiani o dai fascisti, l'una presa in prestito da un canto dalmata, l'altra dalla goliardia toscana e negli anni diventate gli inni ufficiali o di fatto dell'Italia antifascista e di quella del regime mussoliniano... Nei venti mesi della guerra partigiana non ho mai sentito cantare "Bella ciao", è stata un'invenzione del "Festival di Spoleto". La voce "ufficiale" e quella "revisionista" della storiografia divulgativa sulla Resistenza si trovano concordi nel riconoscere che "Bella ciao" non fu mai cantata dai partigiani. C'è da esserne tristi? Certo che no, ma neppure - pur continuandola a cantare come farò io quando capita - trasformarla in mito». Concludeva Morrone: «La contraddittorietà delle testimonianze, l'assenza di fonti documentali prima del 1953, rendono davvero improbabile che il canto fosse intonato durante la guerra civile. Cesare Bermani sostiene che il canto fosse "poco diffuso" durante la Resistenza, onde, rifacendosi ad Eric Hobsbawm, assume che nell'immaginario collettivo "Bella ciao" sia diventata l'inno della Resistenza mediante l'invenzione di una tradizione. (…) Perché "Bella ciao", nonostante tutto, è diventata il simbolo della Resistenza, superando sin da subito i confini nazionali? Perché ha attecchito questa "invenzione della tradizione"? Qualcuno ha sostenuto che il successo di "Bella ciao" deriverebbe dal fatto che non è "targata", come potrebbe essere "Fischia il vento", il cui rosso "Sol dell'Avvenir" rende il canto di chiara marca comunista. "Bella ciao", invece, abbraccerebbe tutte le "facce" della Resistenza (Guerra patriottica di liberazione dall'esercito tedesco invasore; guerra civile contro la dittatura fascista; guerra di classe per l'emancipazione sociale)”. Ma, probabilmente, ha ragione Gianpaolo Pansa: "("Bella ciao") viene esibita di continuo ogni 25 aprile. Anche a me piace, con quel motivo musicale agile e allegro, che invita a cantarla". Il successo di "Bella ciao" come "inno" di una guerra durante la quale non fu mai cantata, plausibilmente, deriva dalla orecchiabilità del motivo, dalla facilità di memorizzazione del testo, dalla "trovata" del "Nuovo Canzoniere" di introdurre il battimani. Insomma, dalla sua immediata fruibilità».