Parlare di questi tempi di impiego pubblico immagino che possa far drizzare il pelo a tutti quelli che sono sprofondati nella crisi economica a causa della crisi pandemica. Eppure il tema va affrontato. Capisco che in un Valle d'Aosta dove a lavorare nel settore pubblico sono tantissimi, segnalare i buchi creatisi nelle Amministrazioni possa risultare impopolare, eppure la realtà è che le norme assai stringenti applicate a Regioni e Comuni dall'applicazione del famoso "Patto di stabilità" europeo (lo Stato lo ha applicato alla democrazia locale, meno a sé stesso) ha svuotato uffici cardine nello svolgimento dell'ordinaria amministrazione. Figurarsi di fronte alle molte incombenze derivanti dall'emergenza sanitaria e vien da piangere a pensare alla spesa entro il 2026 della pioggia di miliardi derivanti dal "Recovery Fund", cui si incrociano i fondi comunitari del periodo di programmazione 2021-2027.
Il rischio di veri e propri flop è enorme, se nel reclutamento dei dipendenti non ci sarà un'accelerazione rispetto alle assunzioni necessarie per far fronte alla situazione. Lo dico perché conosco "la macchina" e non per una campagna indiscriminata di reclutamento del pubblico e lo scrivo ben sapendo che restano sacche di scarsa efficienza e operatività, che vanno rimosse anche con l'ausilio di quelle tecnologie che oggi dovrebbero esserci amiche, come la famosa "digitalizzazione". Qualche giorno fa, pensando anche alle bizantine procedure di appalto che dilatano i tempi e spesso bloccano i lavori a metà, ascoltavo il ministro Renato Brunetta, che conosco bene e le cui capacità non sono da discutere. Propone una vera e propria rivoluzione nel nome della "sburocratizzazione" con procedure accelerate (pensiamo a autorizzazioni ed appalti!) senza le quali resteremmo al palo dappertutto e questo rischio incombe anche sulla Valle d'Aosta. Da notare che in questi anni si è aggiunto l'accentuarsi del danno erariale, che spinge molti dirigenti ad atteggiamenti difensivi e talvolta di allungamento dei tempi, per paura di incorrere nel pagamento di somme esorbitanti. Nessuno discute il ruolo della Corte dei Conti, ma la semplificazione deve anche comprendere meccanismi più trasparenti e meno macchinosi per restituire serenità ai decisori, politici compresi. Quando ero al Parlamento europeo e mi occupavo, come presidente della Commissione che fra l'altro si occupava di Politica regionale e dunque di molta parte dei fondi comunitari, già si predicava - e sono ormai vent'anni fa - la semplificazione delle procedure e dei controlli sui fondi messi a disposizione da Bruxelles. Ebbene, due decenni dopo la situazione è ancora più complessa con logiche asfissianti, che partono sempre dal presupposto che i cittadini e le imprese non vedano l'ora di fregare il Pubblico. Solita storia: i delinquenti rovinano la reputazione degli onesti e si tarano le decisioni sui cattivi e non sui buoni. La sfiducia al posto della fiducia crea carta su carta, formulari su formulari, bolli su bolli. Questo crea, nell'insieme delle questioni, una sorta di paralisi che rende tutto complicato e si finisce per essere prigionieri di un sistema che finisce per essere un dedalo da dove non si riesce ad uscire. Per i cittadini che si interfacciano con la burocrazia, ma anche per i politici che si trovano a governarla, la speranza - dal Settecento in poi, quindi non proprio dall'altro ieri - è che ogni rapporto con chi fa il "burocrate" (dal francese "bureau, ufficio" e da "-crazia", cioè "potere degli uffici") diventi sempre più amichevole e contrario a quella logica del "complicatore affari semplici" che denotiamo specie, quando in coda, si trova lo sportellista zelante che almanacca, tendendo all'infinito. Ma a consentirlo sono il puzzle impazzito di leggi, regolamenti, prassi e via di questo passo, che si autoalimentano per responsabilità collettiva. E anche nel privato spesso non si scherza con questa logica difensiva e dilatoria. Basta scorrere certi contratti di telefonia o delle assicurazioni per avere il capogiro. Speriamo in un moto di orgoglio, reso necessario dalla drammaticità dei momenti e dalla necessità di partire con la marcia giusta e non con la retromarcia.