Ho ricevuto una mail molto umana da uno dei "protestatari" di Place Deffeyes. Mi riferisco ai manifestanti che più di una volta sono arrivati sotto il Palazzo della Regione, in quella piazza che venne dedicata ad uno dei padri dell'Autonomia valdostana, morto a soli quarant'anni. Per ragioni anagrafiche non l'ho ovviamente conosciuto, ma apparteneva ad una generazione che tenne viva la fiamma dell'autonomismo nell'epoca più difficile, durante il regime fascista, incarnando poi quella generazione che diede il via alla rinascita economica e morale della nostra Valle. Ci pensavo leggendo quella lettera, che descrive le difficoltà enormi che si stanno vivendo in questi tempi di pandemia, soprattutto da parte di chi ha dovuto chiudere le proprie attività e questo si riverbera sull'intera società regionale ed a cascata sulle risorse regionali che diminuiranno in un periodo nel quale, invece, ci vorrebbe più denaro del solito per ristorare e per fare ripartire il sistema.
Ma il riferimento al dopoguerra con cui ho cominciato non è un elemento da sottostimare, anche se ogni epoca storica non è ripetibile e le situazioni dopo un evento bellico sono certo diverse dalla scia nefasta di una crisi sanitaria dalle molteplici ricadute. Conta molto, tuttavia, lo spirito con cui bisogna affrontare la ripartenza e incanalare quella rabbia, frammista persino all'odio, che non serve a niente, come si vede in certi commenti sui "social" dove trionfa la demagogia, il livore e anche - spiace dirlo - l'ignoranza. E invece mai come ora bisogna concentrarsi sulla crisi in sé, ma ancora di più sul dopo. Personalmente seguo due filoni: il primo il famoso "Next Generation" che, senza entrare nel tecnico, è quel vasto programma di rilancio costituito da una pioggia di miliardi di provenienza europea; il secondo è il periodo di programmazione 2021-2027, anch'esso con un bel carico di risorse comunitarie. In un periodo di vacche magre per il riparto fiscale questo soldi sono essenziali e bisogna programmare spese oculate ed intelligenti che guardino decisamente al futuro. Leggo di questi tempi, ma lo dimostrano i dati statistici, di una sorta di tenaglia in cui si trova la Valle d'Aosta. Da una parte una crisi demografica feroce con una riduzione delle nascite che ha molte ragioni da studiare e che va assunta come emergenza assoluta per invertire la tendenza. Dall'altra si accelera una fuga di cervelli con moltissimi giovani che lasciano la Valle per le destinazioni più varie nei diversi Continenti. Sono quasi sempre spinte di emigrazione intellettuale e lavorativa senza ritorno di cui gioire e assieme - non suoni come un paradosso - di cui preoccuparsi grandemente per la crescente ampiezza del fenomeno che ci depriva di risorse preziose proprio per l'avvenire. Dobbiamo per guardare avanti coinvolgere di più i giovani e considerare ognuno di loro come un capitale su cui investire sin dalla scuola, cercando di capire vocazioni e speranze, affinché non si perdano per strada e possano seguire le predisposizioni in rapporto anche alla logica fra domanda e offerta del mondo del lavoro. Questo nei prossimi decenni non basterà e ci vorrà una politica di immigrazione intelligente e non casuale, che abbia anch'essa un occhio alle reali esigenze dell'economia e della società. Così quella lettera piena di preoccupazioni è come un messaggio in bottiglia che va colto nella sua essenza e non solo nella comprensibile disperazione del momento e persino alla violenza verbale di certi momenti in piazza. Essere tutti sulla stessa barca è davvero la consapevolezza da avere e la direzione da prendere prevede ad un certo punto decisioni risolute e che l'equipaggio tutto capisca la posta in gioco. Sembrano solo parole al vento ed invece è quanto ci viene da molti passaggi storici cruciali della Storia valdostana, inquadrata com'è nel contesto più vasto cui apparteniamo.