Con la chiusura dei confini regionali è morta per la Valle d'Aosta qualunque forma reale di turismo invernale tradizionale o - come piace agli ambientalisti - "dolce" (come se il resto fosse... "amaro"). Sarebbe stato meglio che il Governo Conte (rabbrividisco al pensiero di un "Conte ter") dicesse sin dall'autunno la verità, in particolare sugli impianti a fune. Invece sì sono messi a giocare con i colori, cambiando i parametri, dimostrando dilettantismo, come si vede ora dalla fornitura centralizzata dei vaccini, che non è difficile prevedere che si trasformerà in un problema serio. Nessuno nega la drammatica situazione epidemica e nessuno è così stupido da barattare facilmente la propria vita in cambio di una sciata, di una gita in un bosco, di un pranzo in uno chalet e potrei continuare l'elenco. Ma ogni attività non può essere bloccata senza fissare un orizzonte temporale e non è concepibile che molte scelte siano state assunte capricciosamente da un manipolo di scienziati chiuso nella loro turris eburnea senza conoscenza di quanto siano differenziate le realtà locali. Quanto assicurato dai rappresentanti della democrazia locale e non da ministri ducetti protervi ed impositivi.
Tutto è regolabile, anche il turismo dello sci con piste, alberghi, ristoranti, maestri di sci ed un mondo all'arresto. Appositi protocolli, misure anche le più severe, informazioni le più dettagliate potevano tracciare in modo intelligente le riaperture. Ma la verità sta in tre aspetti. La prima è che le crisi sanitarie accentrano le decisioni e questo centralismo è cieco nelle scelte, mettendo situazioni diverse sullo stesso piano, come dimostrano provvedimenti assunti con strumenti che fanno carne di porco della Costituzione e carta straccia del nostro Statuto di Autonomia, con la complicità della Corte Costituzionale. La seconda è culturale: la mancanza totale di conoscenza del mondo alpino in un Governo fatto da eletti di territori diversi, che non sanno le cose e dimostrano, già lo dicevo, una superficialità d'approccio mai vista prima, condita da una inaudita supponenza. La terza è ancora politica: in termini di voti le Alpi contano poco e spero che certi passaggi al Senato siano uno schiaffo in faccia a Giuseppe Conte a capo di questi atteggiamenti antidemocratici. La misura è colma e questo deve rilanciare in Valle d'Aosta una questione seria. Ho sempre lavorato nella mia vita per difendere l'Autonomia valdostana e posso dimostrare di averne migliorato molto aspetti non solo giuridici. Ma ho sempre ammonito come l'Autonomia, a differenza del federalismo, sia uno strumento fragile con male intenzionati che decidano con spregiudicatezza di violare regole di collaborazione e di rispetto istituzionale. Ed è quanto vedo oggi è mi preoccupo seriamente. Così come mi preoccupa chi tende, a fronte di situazioni assurde, difese di ufficio di chi dimostra disprezzo verso elementari regole di concertazione, di informazione, di confronto. Pare per alcuni che solo la cieca obbedienza e la disciplina verso scelte sbagliate debbano essere la regola da seguire per non essere autonomisti «brutti e cattivi». Io mi sento brutto e cattivo come non mai e sarà bene che con Roma si riaffermi una dignità, altrimenti verremo travolti.