Il momento difficile che stiamo vivendo ci rende migliori o peggiori? La domanda è scomoda ma legittima e bisogna affrontarla senza troppe arrières pensées. Fateci caso: questa seconda ondata ha spazzato via tutta certa retorica buonista - tipo cantare sui balconi o scrivere ovunque «ce la faremo» - che nella prima fase addolciva la pillola amara, spesso con un velo visibile di ipocrisia. Questa volta l'epidemia picchia molto vicino, con una progressione inesorabile che ci sfiora pericolosamente, e mancano per ora spiragli che ci facciano tirare il fiato come sarebbe necessario. Per cui, dovendo rispondere alla domanda posta, spiace dire che ci sono molte ombre sulla situazione attuale. L'impressione è che manchi l'idem sentire. L'espressione esatta sarebbe «idem sentire de republica» (alla lettera «avere lo stesso concetto dello stato») deriva dal concetto romano della necessità di un'omogeneità culturale almeno per le questioni veramente di fondo di una comunità sociale.
Ci sono molte parole che si potrebbero aggiungere: coesione, solidarietà, fratellanza, compattezza. Suonano bene e sanno di buono. Eppure si nota come emergano forme di egoismo, di individualismo, di corporativismo, di sfiducia. Tutto quel che avvelena i pozzi. Osservava George Orwell: «Il pessimismo è reazionario perché rende impossibile l'idea stessa di migliorare il mondo». Di queste negatività non abbiamo bisogno, perché solo in una logica corale si può immaginare con disciplina e convinzione per uscire dal tunnel. Vanno isolati tutti coloro che remano contro e peggiorano una situazione già così difficile. La mozione degli affetti non basta e forse non basta neppure fare appello alla razionalità. Ci vuole una spinta in più. Personalmente la trovo guardando avanti, che sarà vuoto ottimismo, ma è anche una certezza che deriva dalla Storia. Dopo momenti difficili bisogna ricostruire e sarà così anche questa volta, come avvenuto nei dopoguerra. E questa, a conti fatti, è una guerra contro un nemico ostico e invisibile, che ci fa spaventare, che minaccia, che vuole fare di noi dei malati e pure ci divide al posto di aggregarci. Ma non vincerà, alla fine. E bisognerà essere pronti a darsi da fare e quel momento non sarà un punto di arrivo ma di partenza. E ricorderemo questi giorni e le prove che abbiamo affrontato e per questo dobbiamo oggi mettere il meglio di noi, obbligatoriamente insieme. Viene in mente la poesia in prosa di Herman Hesse in "Siddartha": «Lentamente fioriva, lentamente maturava in Siddharta il riconoscimento, la consapevolezza di ciò che realmente sia saggezza, qual fosse la meta del suo lungo cercare. Non era nient'altro che una disposizione dell'anima, una capacità, un'arte segreta di pensare in qualunque istante, nel bel mezzo della vita, il pensiero dell'unità, sentire l'unità e per così dire respirarla».