Nell'ultima campagna elettorale, di cui mi sono occupato in modo diretto per "Vallée d'Aoste Unie" anche come candidato, mi sono trovato di fronte ad una novità forte: il peso dei "social" ed in particolare di quello più adoperato anche da noi, vale a dire "Facebook". Intendiamoci: era pur vero che mancavo dalla corsa elettorale da ben undici anni, tuttavia avevo seguito almeno due altre elezioni regionali senza concorrere, una per UVP e una per Mouv'. Proprio questa circostanza mi ha permesso di comparare quanto avvenuto in un decennio. Anzi, a ben pensarci il mio sguardo può spaziare persino su un periodo ben più lungo, visto che mi candidai, seguendo passo a passo la campagna elettorale, sin dal lontano 1987. Quindi ho visto passare le campagne elettorali, partendo da metodi tradizionalissimi sino all'emergere delle radio e televisione private, novità rilevantissima morta con le regole della "par condicio" e al comparire poi e all'affermarsi del Web, oggi dominante.
Ebbene: in questa ultima tornata la preoccupazione ormai assillante di tutti, dovendo avere ormai anche uno staff dedicato, sono stati proprio i "social" e "Facebook", come dicevo, l'ha fatta da padrone. Ed io - lo dico sorridendo - non ho un mio profilo e sono per questo una sorta di mosca bianca e potrei dire che sono stato eletto lo stesso. Ma non è questo il punto, perché non vivo nel mondo delle fiabe e sono consapevole del peso dell'incidenza di certi strumenti digitali nella democrazia con meccanismi invasivi che inquietano, come la nostra profilazione che permette agli algoritmi di spingerci in una certa direzione di un terreno fecondo per chiuderci alle discussioni e premessa per farci diventare soggetti utili per la diffusione di "fake news". Non faccio il complottista per partito preso o il luddista che pensa di far sparire il Web, la cui utilità è invece straordinaria e come tutto è questione di rischi di monopolio e di mancanza di regole di garanzia. Leggevo su "Sette" un articolo breve e fulminante di Davide Casati e Martina Pennisi, che così inizia: «"Circostanze estreme". Nelle ultime settimane l'espressione è stata usata da due persone con ruoli vecchiaia negli equilibri tra tecnologia e democrazia: il commissionario UE al Mercato interno Thierry Breton ed il vice presidente degli affari globali di "Facebook", Nick Clegg. Il primo spiegava che l'UE è pronta ad arrivare a chiedere ai colossi del "Big Tech" - per violazione o inadempienze gravi: estreme, appunto - di uscire dal mercato comunitario o smantellare o vendere le proprie attività (ciò che gli Usa hanno chiesto a "TikTok"). Clegg, ora alto dirigente di Menlo Park ma già vice premier del Regno Unito (sa dunque bene il peso di una presa di posizione politica), ha invece detto che "Facebook" potrebbe limitare la diffusione dei contenuti negli Usa se le elezioni dovessero sfociare nel caos e in disordini civili». Conosco Nick, che era seduto vicino a me al Parlamento europeo, ed ora che fa il lobbista immagino che, da buon liberale, dica questo conscio che, o si creano logiche di autodisciplina dei colossi della Rete, o interverrà la legge con norme stringenti per limitare abusi e persino reati. Aggiunge l'articolo: «Due considerazioni: la rottura di Internet , o meglio lo scorporo delle aziende che dominano Internet, è qualcosa con cui dovremo probabilmente confrontarci. La seconda: se ancora non è misurabile come e quanto le piattaforme stiano condizionando la democrazia, il peso che possono assumere nel dibattito democratico e politico è sempre più chiaro. E drammatico». Chiara, in poche righe, la posta in gioco e per questo anche noi in Valle d'Aosta dobbiamo riflettere su di una legge elettorale che eviti, con la preferenza unica, situazioni locali di scontro fra candidati della stessa lista, peggiorato del tutto da questo tema dei "social" incombenti, che spetta nella loro rischiosa invasività ad una seria normativa a carattere europeo.