Resto convinto che fra i primi temi della Legislatura regionale che si avvierà ufficialmente ad ottobre ci sia ancora la storia triste che ci ha segnati dell'epidemia da "coronavirus". Sono sinceramente curioso di capire a fondo se e come la nostra sanità si sia preparata al ritorno della malattia dopo i mesi estivi, che per altro sta già investendo altri Paesi europei. Walter Ricciardi, consulente del ministro della Salute e professore di Igiene all'Università "Cattolica" di Roma, in occasione della presentazione del rapporto annuale sull'innovazione in campo sanitario e farmaceutico ha detto: «Il presente è "stringiamoci a coorte", cioè noi dobbiamo continuare a reggere, lo dobbiamo fare tutti, a onta di qualche cretino che dice "il virus è finito", "buttate le mascherine", "tornate a fare tutte le vostre attività", "ho avuto una polmonite peggiore del virus". Questi sono degli imbecilli che fanno dei danni enormi dal punto di vista della salute pubblica, perché alle persone sprovvedute o analfabete funzionali alimentano nel migliore dei casi l'idea che è tutto finito e che si può fare tutto quello che si poteva fare prima, o nel peggiore dei casi l'idea del complotto, dei poteri forti, dell'invenzione del virus e del fatto che questa è tutta una cospirazione internazionale».
«Stiamo ripetendo tutti gli schemi delle pandemie - continua Ricciardi - cioè con una seconda ondata che è peggio della prima. E' sempre successo così». Facciamo gli scongiuri, certo, ma non bastano questi gesti, perché - in attesa del vaccino e di una campagna forte perché i "noVax" non vanifichino il suo arrivo - bisogna comunque essere pronti ed usare gli strumenti che già abbiamo. Leggevo un interessante articolo, proprio in tema di vaccini di Eliana Liotta su "IoDonna": «Come l'acqua potabile, i vaccini hanno salvato più vite di qualsiasi altra innovazione: cinque nel mondo ogni minuto, si calcola. Un vento propizio della modernità, un portato del progresso che modella la storia dell'uomo tanto quanto l'hanno forgiata le epidemie del passato e del presente. E' così che il vaiolo, piaga per secoli, killer del faraone Ramses V, è stato dichiarato eradicato nel 1980 dall'Organizzazione mondiale della Sanità. Il germe che lo provocava non circola più. Guerra vinta. Ora si ipotizza, in base ai dati di alcune ricerche e alle osservazioni cliniche, che molti vaccini (forse tutti) non servano solamente a proteggersi da una determinata patologia, ma allenino il sistema immunitario a combattere in generale contro le infezioni. Potenzialmente (si sta studiando la cosa), anche quella da "Sars-cov-2". In altri termini: oltre ad attivare la formazione di anticorpi mirati a colpire un preciso microrganismo, rafforzerebbero l'esercito personale nel suo insieme. Ne scrive Alberto Mantovani, l'immunologo italiano più citato al mondo nella letteratura scientifica, in un articolo appena pubblicato sul "New England Journal of Medicine": "Questo meccanismo di allenamento potrebbe contribuire a spiegare il fatto che i bambini siano meno colpiti da "covid-19", dal momento che la maggior parte di loro è sottoposta a diverse vaccinazioni nei primi anni di vita". Ogni vaccinazione fa leva sull'immunità acquisita o specifica, detta così perché continua ad arricchirsi negli anni e perché schiera i suoi ufficiali abili ad annichilire un determinato agente nocivo e a riconoscerlo in futuro. E' il principio della memoria immunologica. Ma la scoperta recente è che, allo stesso tempo, con certi vaccini sembra rinvigorirsi anche l'immunità innata, la prima linea difensiva, presente fin dalla nascita e in grado di azzerare con le sue truppe il novanta per cento dei problemi causati dal contatto con i patogeni. E' come se ci costruissimo dentro una palestra in cui si addestrano a usare le baionette soldati semplici e generali, sergenti e caporali. Più pronti poi a sparare sul nemico». Poi un altro tema decisivo e non problematico per chi, come me, da un vita fa il vaccino antinfluenzale: «Non si hanno prove che l'antinfluenzale si comporti anche lui da personal trainer dell'intera armata, ma non c'è medico che non lo consigli nell'autunno incupito dai timori di una nuova ondata pandemica. Aiuta a distinguere tra i sintomi del malanno stagionale e quelli da "covid". Non solo: i dati (certi) dicono che le cose vanno peggio quando le malattie infettive si sovrappongono. Ed è l'influenza in sé a meritare attenzione, perché è una minaccia grave per le persone fragili e anziane. Il vaccino contro il malanno stagionale, fin qui snobbato (nel 2019 lo ha fatto appena il 18 per cento degli italiani), oggi è tra le richieste maggiori ai medici di base, che riceveranno le prime scorte a ottobre. Pandemia o non pandemia, è raccomandato e gratuito dai sessant'anni, in gravidanza, per i bambini fino a sei anni, oltre che per i soggetti più fragili». Ho letto poi su "Sette" un'altra osservazione essenziale in un articolo di Davide Casati e Martina Pennisi e che riguarda la famosa app "Immuni", che personalmente ho sul telefonino e che dovrebbe servire ad identificare i malati che abbiamo incontrato: «La spinta ad adottare "Immuni", l'app di contact tracing varata dal governo, è stata da subito resa complessa da campagne politiche avverse e dubbi (infondati) sul rispetto della privacy. Un nuovo studio dell'Università di Oxford, supportato da Google, dice che l'adozione di app di tracciamento anche da quote limitate di popolazione può aiutare a salvare migliaia di vite. Certo: le app non bastano; serve capacità di testare e isolare. Ma se appena il quindici per cento dei cittadini le usasse, le infezioni potrebbero calare del quindici per cento (col 75 per cento dell'81). In Italia, l'unica area oltre il quindici per cento di utilizzo della app è la provincia di Bolzano: ed i download totali sono meno di sei milioni. Si rischia di perdere un'occasione. Specie per i cittadini più a rischio, gli anziani». Mi chiedo se non sia il caso su questo di avviare una riflessione anche in Valle e trovare contromisure all'indifferenza e alle perplessità.