Ad un appuntamento, purtroppo luttuoso, con la Storia non mancò il caporale dei bersaglieri Louis David Thérisod, ucciso da un colpo di fucile in piena testa. Forse ebbe il tempo di pensare per un attimo alla sua Val di Rhêmes o forse no. Certo divenne un eroe nazionale, finendo nella lapide dei caduti a Roma il 20 settembre del 1870, 150 anni fa come oggi. Ricordo che qualcuno mi disse, ma non ho trovata una traccia documentale, che fu il primo morto in quella battaglia. Mi riferisco alla Breccia di Porta Pia, che pose fine al potere temporale del papato: il Regno d'Italia conquistò Roma armi in pugno. I bersaglieri sconfissero gli zuavi pontifici e, al pari del re sabaudo Vittorio Emanuele II «usurpatore delle province ecclesiastiche», furono scomunicati da Pio IX (Papa assai discusso, autore del "Sillabo contro ogni forma di modernità" e delle ultime condanne di patrioti alla ghigliottina) per aver innalzato il tricolore sulla città eterna.
I due soli giornali valdostani dell'epoca, quando il giornalismo iniziava ad esserci anche da noi, non furono particolarmente festosi, anzi. Il cattolicissimo "L'Indépendant" scrisse due giorni dopo gli eventi: "Notre journal continue de porter le deuil et il paraîtra avec le signe de la douleur jusqu'à ce que le Saint-Père soit réintégré dans ses droits de souverain temporel". Il lutto durò sino alla chiusura del giornale sei anni dopo. Stupisce, invece, la freddezza sulla "questione romana" del moderato ma di area liberale "Feuilles d'Aoste", che si limita a raccontare i fatti in modo asciutto e pubblica invece il 27 settembre la lettera-proclama del deputato conservatore se non reazionario Édouard Crotti di Costigliole, che per altro era morto due giorni prima. Nella lettera il parlamentare eletto nel collegio di Verrès si lamentava, con viva indignazione, della scelta di conquistare Roma. Che dire oggi di quella data, che portò come conseguenza simbolica l'anno successivo a fare di Roma la capitale d'Italia, lasciata Firenze? Semplicemente che sarebbe stato meglio mantenere la capitale a Firenze o meglio, se ci fosse stato un disegno federalista vincente, distribuire le Istituzioni attraverso diverse città e non concentrarle in una città inadatta e malgovernata come Roma. Capisco che sono parole forti, ma è la triste realtà. Ha scritto Antonio Pilati: «Roma è diventata capitale soprattutto a causa di un pesante carico ideologico: il primato imperiale, la gloria del remoto passato che con un salto di due millenni si pretendeva di trasferire al nuovo Stato, uno stigma di superiorità che peraltro nessuna delle potenze all'apice dell'ordine internazionale s'è mai sognata di riconoscere. Il carico ideologico nel tempo ha fatto molti danni - non solo alimentando un'idea di Stato fuori misura rispetto alla realtà italiana - ma dando anche impulso a tante sballate imprese coloniali e più tardi ai deliri di potenza del fascismo». Per poi aggiungere: «Roma è da quasi due millenni il centro della chiesa universale e in ciò ha il suo carattere distintivo: i tempi della curia, però, sono altri da quelli di uno Stato moderno e la commistione tra i due mondi non ha giovato: il passo dell'eternità non conosce i vincoli dell'amministrazione. D'altronde la storia italiana, fatta di città borghesi e di competizione commerciale, ha una stoffa diversa che condivide ben poco con il disincanto romano (i pellegrini arrivano comunque con i loro oboli e ci saranno sempre indulgenze da smerciare). La capitale, difforme dall'Italia e anche irriducibile alla sua misura minore, se ne è sempre più staccata soprattutto nel dopoguerra - creando una propria agenda e una propria economia. La razionalità operativa non è il riflesso primario della città che forse ha di meglio cui pensare. Le opere faticano ad andare in porto, il vantaggio collettivo - che alla fine premia anche il singolo - è riconosciuto con difficoltà, la disciplina dello sforzo comune si disperde nel particolare di mille interessi privati». E ancora: «Negli ultimi trent'anni - quelli della globalizzazione digitale - economia, demografia, scambi di merci e di persone sono diventati sempre più grandi e complicati, in Italia come nel resto del mondo: le prestazioni richieste alle macchine organizzative degli Stati immersi nel mondo globale sono cresciute a dismisura. Roma, con il suo passo antico, ha sofferto su due fronti: da un lato ha recepito e amplificato l'affanno dello Stato centrale, dall'altro si è dovuta adattare alla travolgente apertura mondiale avviata da Papa Wojtyla. Oggi è al collasso e fare da capitale per due Stati (caso unico al mondo, Gerusalemme lo è solo in teoria) appare un compito troppo pesante: quella che fu concepita come memoria vivente di gloria è ormai una vetrina cadente. L'Italia può sopravvivere solo con una grande riforma dello Stato: avere una capitale efficiente è un passo indispensabile lungo questa via». La proposta finale è costruire una nuova Capitale come fece il Brasile con Brasilia. Io preferisco la Capitale "diffusa", profittando delle tecnologie digitali a rete far diverse città o Regioni.