Vive nel mio giardino una famiglia di merli, che vedo più saltellanti in giro per il prato che volanti. Penso che ormai mi riconoscano e non si spaventino affatto della mia presenza "umana". Anzi, ritengo che mi considerino uno di famiglia, la loro. Mi incuriosisco, come talvolta capita e cerco anzitutto su "L'Etimologico": "mèrlo (secolo XIII "uccello"; seconda metà secolo XIII "sporgenza in cima alle mura"), uccello simile al tordo. Formazione latina di origine indoeuropea: latino tardo "merŭlu(m)", latino classico "merŭla", femminile". Sarebbe dunque l'uccello, ma anche il pezzo di muro di tanti nostri castelli che ricorda il pennuto, ma anche il "merletto" come tessuto. Ci sono anche il vino e vitigno "merlot", che ricordano il colore scuro del merlo traslato sugli acini d'uva.
Ma quel che colpisce è - lo dice la "Treccani" - l'uso contraddittorio della parola come epiteto: "Babbeo, minchione, sempliciotto: «s'è fatto prendere, quel merlo»; «bel merlo!»; «è proprio un merlo», eccetera (vedi anche "merlotto"); scherzoso: «cercare il merlo»; di donna che cerca marito (o amante), soprattutto se ricco e generoso: «e così adescare il merlo», «ha trovato il merlo che la sposa», e simili. Per antifrasi, uomo furbo, scaltro, che si finge ingenuo o bonaccione: «sta' attento, è un merlo quello!»". Scaltro o stupido sono cose ben diverse, ma che coincidono nell'immagine popolare del nostro pennuto. Già ma ci sono anche "i giorni della merla", i freddissimi - almeno una volta - 29, 30, 31 gennaio e la leggenda è la seguente: «Dovete sapere che i merli, un tempo, avevano delle bellissime piume bianche e soffici. Durante il gelido inverno, raccoglievano nei loro nidi le provviste per sopravvivere al gelo, in modo da potersi rintanare al calduccio per tutto il mese di gennaio. Sarebbero usciti solo quando il sole fosse stato un poco più caldo e i primi ciuffi d'erba avessero fatto capolino tra i cumuli di neve. Così, aspettarono fino al 28 di gennaio, poi uscirono. Le merle cominciarono a festeggiare, sbeffeggiando l'Inverno: anche quell'anno ce l'avevano fatta; il gelo, ai merli, non faceva più paura! Tutta questa allegria, però, fece infuriare l'inverno, che decise di dare una lezione a quegli uccelli troppo canterini: sulla terra calò un vento gelido, che ghiacciò la terra e i germogli insieme ad essa. Perfino i nidi dei merli furono spazzati via dal vento e dalla tormenta. I merli, per sopravvivere al freddo, furono costretti a rintanarsi nei camini delle case. Lì, il calduccio li riscaldò e permise loro di resistere a quelle giornate. Solo a febbraio la tormenta si placò e i merli poterono riprendere il volo. La fuliggine dei camini, però, aveva annerito per sempre le loro piume bianche: fu così che i merli divennero neri, come li possiamo vedere oggi». Ma anche una canzone di Paul McCartney, scritta riguardo alle tensioni razziali esplose negli Stati Uniti nella primavera del 1968, mentre i "Beatles" erano in tour negli USA. "Blackbird" fu scritta per Rosa Parks, la "blackbird" che il 1° dicembre del 1955 salì su un bus e si sedette nella parte riservata ai bianchi, rifiutando poi di spostarsi al fondo dell'automezzo, parte riservata alla gente di colore. Durante i concerti, alle spalle della band, venivano proiettate immagini di Martin Luther King, Rosa Parks e degli scontri con la polizia durante le manifestazioni del movimento. A Woodstock, nel 1969, è stata interpretata magistralmente a tre voci da "Crosby, Stills & Nash". «Merlo che canti nel cuore della notte prendi queste ali spezzate e impara a volare per tutta la vita hai atteso che questo momento arrivasse. Merlo che canti nel cuore della notte prendi questi occhi cavi e impara a vedere per tutta la vita hai atteso questo momento per essere libero. Vola merlo, vola nella luce del buio della notte. Merlo che canti nel cuore della notte prendi queste ali spezzate e impara a far volare la tua vita sei rimasto in attesa che questo momento arrivasse». Come una poesia che dedico ai "miei" merli!